sabato 12 marzo 2011

il suono della cantina



Dunque vediamo, dove ero rimasto? Ah sì, ero sceso in cantina.
Il luogo è particolare, degno di evocare suggestioni alla Poe come nella botte di Amontillado (cazzo!). Accompagnato dalla padrona ho intrapreso la discesa in un buio debolmente rischiarato dalla tremula luce dei miei fantasmi, un vero spasso. Da ragazzino amavo le ville abbandonate e le esploravo insieme al mio amico, ora non sono più un ragazzino, nell'aspetto, forse nell'animo, che non ha età ma solo memorie, e la cosa mi gioca anche dei brutti scherzi.
Devo smetterla di divagare narcisisticamente, che diamine!
Come ho scritto giorni addietro sto vivendo nel tardo rinascimento, ospite in una villa cinquecentesca con tanto di grotta del Buontalenti. Il tempo si muove nella fantasia e, scendendo nel buio della cantina, mi sono accorto che Caravaggio stava già dipingendo nei nostri occhi quei fantastici contrasti di ombra e di luce che fanno uscire dalla tela le sue immagini, con la carne che diventa viva, palpabile e traboccante di sostanza umana.
Oddio, la penombra mi dà al cervello, non si creda che sia il vino, semmai è la padrona, che ha uno sguardo al nero d'Avola e le labbra...lasciamo stare.
Il silenzio è quasi una presenza, incombe, rotto solamente dai nostri passi-respiri, sospeso nei nostri occhi che lo scrutano quasi fosse un'immagine.
Sì, il silenzio ha un'immagine, duttile, molto duttile, il silenzio è il proteo delle nostre ansie o delle nostre paure, se le abbiamo, sta a noi renderlo un ruhevoll.
Di solito s'intende la cantina come un luogo basso e ristretto, questa, o meglio queste, sono immense, labirintiche e mi è inevitabile pensare all'inconscio, anche se pensarlo in senso spaziale è errato, l'inconscio non è un altrove, c'è sempre, è qui, proprio qui ora, si nasconde o disvela nel susseguirsi di veglia e sogno.
Come un corso d'acqua, leviga e solca la nostra carne dal di dentro e dal di fuori, forgia le espressioni dei nostri volti al di là della genetica, forse ogni ruga è una storia, ed ora molte storie ramificano sul mio volto. La mia amica si diverte a capovolgerlo come una clessidra, è un po' strega, ed i miei occhi, dice lei, brillano o si adombrano in continuazione, a seconda del tempo che mi resta per amarla.
Io rido, perchè lei non vede i suoi...
Ed intanto continuiamo a giocare ai fantasmi, nell'ombra di una nicchia, ben sapendo quanta luce ci aspetta appena usciti.
Rinascere?
Continuamente.
Ma qui si vedono cose trasfigurate dalla penombra, ho visto un me stesso incatenato ad una ruota ai tempi dell'inquisizione, poi lei che camminava su una fune tesa su un sogno . Quante volte sono caduto nel tentativo di raggiungere un volto all'altro capo della fune. Ma anche, ostinatamente, cadendo, sono riuscito a portare via con me almeno l'immagine di quel volto, rendendolo suono nell'abisso in cui scivolavo allo scadere del sogno. Ho portato con me sorrisi e parole d'amore, ascoltando i primi ed osservando le seconde, proprio il contrario di quello che fa la coscienza.
La padrona sorride, col suo sorriso profondo, senza rughe, eppure così carico di storie da illuminare il tempo a venire, libera dalla fretta.
E questo mi permette di giocare al mio gioco preferito, fatto di tempo e movimento di immagini.

2 commenti:

Lara ha detto...

Un racconto molto bello e profondo.
Ti esprimo tutta la mia ammirazione.
Deve essere un'esperienza non comune abitare in una villa cinquecentesca con quel labirinto di cantine ....
Ciao,
Lara

ruhevoll ha detto...

Lara, non merito ammirazione per il raccontino, ho solo messo giù due pensieri in croce, scrivere è ben altro. Che poi il luogo sia affascinante è vero, ma è sempre ed unicamente la nostra fantasia ad interpretare i luoghi, che di per sè stanno zitti e non hanno passioni.
:-)