mercoledì 5 ottobre 2011

Giardino (riciclaggio)



Al mattino il giardino era una meraviglia, non c'era quasi nessuno in giro e la giovane luce, ancora obliqua, s'inseriva di taglio tra gli alberi creando giochi multicolori fra le foglie, mescolandosi alla nebbiolina carica di odori di terra umida. Con il fresco pungente nelle narici e le mani in tasca mi avviai per il maestoso viale, il crocchiare della ghiaia sotto le scarpe echeggiava breve nel silenzio, qualche merlo razzolava i prati circostanti. Profondità era la parola per quel quadro settecentesco. Alberi preziosi e carichi di storia, vialetti persi come pensieri, armonia di forme e di fontane, anfratti riparati sotto al bosso, intrecci di rampicanti sulle pietre, statue nude gorate di verde muschio, rare figure passeggianti sullo sfondo. M'immaginai già in quel tempo lontano. Un carretto spinto da un giardiniere comparve dietro al fusto di un grosso leccio, un cappellacio logoro e due stivali, pennato, vanga e uno zappetto, due sacchi di terriccio e una camelia. Buondì, gli faccio un cenno con la testa,  quello risponde schivo e guarda altrove, mi lascia ai miei pensieri senza fretta. Ritorno solo in mezzo a quel viale. Respiro l'aria buona e straripante d'ogni sfumatura di verde e di marrone, di grigio pietra e cielo azzurro e vado avanti, verso il gran palazzo. Che lusso inarrivabile e osannante, che sfarzo che rigoglio di volute, un muoversi continuo e statuario soggioga l'occhio villano e poco avvezzo al lusso ad una reverenziale sottomissione. Il cuore già commosso si restringe, la forza del potere lo sorprende, l'abilità nel saper fare, il numero di braccia che l'han fatto, quelle non si contano, hanno basso prezzo e poco desinare. Potenza a diluviare in quelle gronde, ciuffi di pietra sotto a sostenerle, riccioli scolpiti ad arte nel disegno, così come voleva l'architetto. E braccia e mani grosse su a portare e gambe e funi ed argani a tirare. Travi colossali e lastre immense, mi gira la testa, mi sento piccolo, sperduto in un secolo non mio, in un luogo non mio, frastornato da una ricchezza che non mi torna, che non m'inganna, e torno indietro, lo visiterò più tardi, quando ci sarà più gente a ripararmi. Ferito lievemente nel pensare a quante villanotte avran sognato di starsene sdraiate sopra un prato cullate dal signore del palazzo, Zerline furbe ed anche sciocche, quei sogni sono sempre i loro balocchi, puttane o ingenue tremanti, volevano portare tutte i guanti. Chissà quel giardiniere se li porta, le spine delle rose fanno male, ah già ma aveva una camelia, starà pensando a dove travasarla. Decisi di andarlo a ritrovare, magari in disparte per non disturbare, mi sembra ombroso come tipo, vedrò come lavora e come si muove.
Nel fresco di un pratino ben curato, fra un gelso ed un ontano, vedo una figura nella mezz'ombra che ha scavato già una bella buca. Mi fermo a una ventina di passi e sento fischiettare, e penso che l'umore non l'ha guasto, invidio il suo lavoro e la sua calma, deriva di sicuro dai lunghi tempi delle piante, ecco si volta e mi fa un cenno, mi viene incontro per parlare, guardo la figura avvicinarsi e il controluce inganna i miei occhi, o forse no, non capisco, non è lui, è una ragazza. Mi accorgo che intorno non c'è il carretto, e intanto lei già mi sta di fronte.
La prego, dice un po' affannata, mi potrebbe aiutare a spostare quella pianta? Mio padre è andato alla serra e da sola non ce la faccio, se non mi sbrigo il padrone mi da un sacco di legnate, vuole tutto a posto per la mezza.
Il padrone? Legnate? Tutto a posto per la mezza? Guardai frastornato quel volto sudato e magro, ciocche di capelli rossi uscivan da una cuffia, un grembiulone scuro di terra fino agli stivali. Mi sembrò di essere in un film comico di qualche anno prima. Mi guardo per me e son sempre io, vestiti compresi, niente di diverso. Alzo gli occhi e la vedo ridere come una matta. Uno scherzo? Chiedo senza sapere che faccia ho. Lei ancora non riprende fiato.
No, alterna a un altro attacco di risa, è che stiamo provando una scena ed io credevo che lei facesse la controparte.
Mi giro intorno e non vedo cineprese o altro materiale del genere e torno a guardarla più che mai stupito. Ora si è calmata e quasi seria mi fa: è teatro sperimentale, ha presente? Ci inventiamo le scene al volo ed io pensavo che l'avessero avvertita all'ingresso.
Avvertito di cosa?
Che nel giardino c'erano degli attori, che avrebbero coinvolto i visitatori in scene improvvisate, sulla vita qui nel settecento. Io ho scelto di fare la figlia del giardiniere, l'ha già incontrato prima e me l'ha detto lui di cominciare con lei per rompere il ghiaccio.
Il ghiaccio l'ha rotto di sicuro, dico cercando di riprendermi, ma io cosa dovrei fare? Chiedo impacciato e dispiaciuto per non esser stato subito al gioco, le ho rovinato la scena?
No, sorrise, io sono una pivella, mica una professionista, cerco di imparare e ho poca o nulla esperienza.
Sarà, dico, ma al di là del copione che aveva in testa, se qualcuno avesse ripreso quel che è successo due risate se le sarebbe fatte di sicuro.
Ma lei davvero non era al corrente? Non le hanno detto nulla all'ingresso?
Io non entro dall'ingresso principale, risposi.
Senta, mi chiese, le andrebbe di aiutarmi a sciogliermi un po'? A fare qualche prova, fra poco qui ci sarà gente e io devo capire se la mia scena può funzionare, non la disturba vero, non le faccio perdere tempo?
Il tempo? Domandai, che c'entra il perder tempo, qui di secoli ce ne son già tre distesi in terra, qualche minuto in più non si potrà notare.
Un partner filosofo mi son trovata, sorrise ironica, darà lustro alla mia parte, siamo nel secolo dei lumi, fece già accalorata. Allora, continuò, l'approccio l'ha già sperimentato, adesso bisogna andare avanti con le risposte, che so, mi dica quello che le viene in mente.
Bene, risposi, il padrone ha ospiti di riguardo se mette anche le fanciulle giù a zappare.
Non me ne parli, signor mio, è un despota divorato da un'ossessione, si picca di giustapporre le piante del giardino ad ogni suo nuovo umore, e noi poeracci e servi ad assecondarlo ogni mattina, sperando che la notte non abbia dormito male.
E questa notte com'è andata, chiesi di rimando.
Sembra bene, una nobildonna di vattelapesca è entrata nelle stanze del signore ieri sera e non ne è uscita che due ore fa.
Quindi cosa vi ha detto di fare, chiesi ancora.
Quello? Nulla, come sempre dorme, tocca a noi indovinare, interpretare, e guai a noi se sbagliamo il verso, son dolori. Io ho scelto questa camelia, è pronta per fiorire, ha i bocci a fior di pelle, promesse di bellezza.
Non son molto d'accordo sulla scelta, dissi, la cosa è bell'e andata, la promessa mantenuta e i bocci già gustati, ci vuole una pianta che abbia il sapor del dopo, velata di un languore lievemente triste ma consolato, che so, un'abelia, no, una bignonia, sì, un rampicante che scivoli piano in mezzo alle altre foglie, che lasci mescolare la sua linfa all'altre piante, però che non le soffochi d'amore egoista, che sappia liberarle esaltandone il contrasto.
La ragazza tacque un attimo e tolse la cuffia, mi guardò seria e disse, se trovo altri come lei mi cambio il ruolo, faccio la sua parte e lei la mia, dove la trovo codesta bign..che? Le ho chiesto una mano non un trattato di botanica.
Mi scusi, dissi, io parlo troppo, non volevo....
Ma no, non sia sciocco, le sto facendo un complimento. Vediamo, continuò pensosa, devo portare il pubblico sul mio personaggio, senza permettergli di distrarsi con le piante e il giardinaggio.
Sarà difficile con quella premessa sul padrone e i suoi ghiribizzi, le feci notare. Ignori il padrone, continuai, si goda la vita, lei è figlia di un giardiniere non "il giardiniere", se ne può fregare altamente e gettar scompiglio nell'ordine e nel mestiere.
Buona idea, sorrise, altrimenti ci si annoia, potrei aggiungere che del padrone me ne infischio, è della notte mia che voglio raccontare.
Deglutii geloso, cercando di distogliere il mio sguardo dai suoi occhi scintillanti, dal suo sorriso solare e dalla pelle di porcellana. Che notte vuole inventare, chiesi prudente.
Quella di sempre, quella ch'è nei sogni d'ogni ragazza, propose come naturale ovvietà. L'universale, risposi ridendo divertito, ma quella è arte con l'A maiuscola, mi ha appena detto d'esser pivella...
Via, fece infastidita, qui possiamo tentar quel che ci pare, a me non frega niente dell'universale, io so cos'ho sulla mia pelle, e se ce l'ho io ce l'hanno anche gli altri di sicuro.
La sua certezza mi confonde, mormorai, e la sua pelle è giovane, guardi la mia, solo la fortuna di un bel ricordo mi fa comprendere le sue parole.
E lei si lasci trasportare da quello, m'incalzò, lo tenga stretto, lo faccia rinnovare.
Ecco brava, dissi, la presbiopia è utile, nella vicinanza dei corpi anche uno un po' solcato appare liscio. Poi mi ripresi, scusi la battuta, ho capito, lei vuole regalare al mondo la sua felicità.
Si, disse girandosi intorno, senta che profumi, guardi che sfarzo, tutti dovremmo avere l'arte di godere della bellezza, io oggi son felice e vorrei che lo fossero tutti.
Anche chi non ha avuto una notte fortunata?, alzai leggermente le sopracciglia.
Non sia pesante, disse seria, non sotterri tutto con le sue parole, come diceva quello? Ricordati che devi morire... sì buonanotte, io me ne dimentico, non ci penso, anche se lo so non mi par vero, la morte è sempre altrove, magari accanto, ma non qui dentro, non nel mio cuore.
Per questo tutti ci vorrebbero venire, dissi ridendo di gusto, fortunato il suo ragazzo, quella è la pianta da trovare e coltivare, dubito che me ne venga in mente una adatta, comunque ci penserò e l'andrò a cercare e domattina la troverà lì in quello scavo che ha fatto di buon'ora nel giardino.
Ma lei chi è per poterlo fare, chiese.
Il suo umile giardiniere, risposi.
Il mattino seguente uno splendido ceanoto preparava i suoi fiori azzurri, ma la ragazza non tornò a vederlo, dormiva già in un altro giardino.