domenica 24 febbraio 2013

Il cane, il bubbolo, la chitarra e il minimalismo



Ricordo che quando ero piccolo mio padre ogni tanto cambiava auto, perché faceva molti chilometri, ma su ogni auto c'era sempre la stessa piccola campanella (in realtà si chiamava bubbolo), attaccata sotto lo specchietto retrovisore. Una volta ero seduto dietro, mentre mio padre guidava e un suo amico accanto a lui fumava. A un certo punto il suo amico, che a me stava molto antipatico, chiese con aria di scherno a mio padre cosa significasse quel bubbolo. Mio padre lo fece suonare gentilmente con le dita e rispose: serve a ricordarmi che vengo dalla campagna.
Una battuta che, se ancora me la ricordo, evidentemente mi colpì.
Quella campanella la conservo nella memoria, non so più dove sia, ma l'altra sera l'ho udita fuori della porta. Sono andato a vedere ed ho trovato un cane. Ci siamo guardati, lui un po' mi ha annusato, io no, non ne avevo bisogno. Nessuno dei due, almeno apparentemente, aveva altri impegni e quindi l'ho invitato a entrare. Più o meno è andata così:

Ruhe: Un cane un po' timido ma anche molto curioso, vedo che con fare guardingo ispezioni la mia casa minimalista, anche se sarebbe più corretto dire minima.
Cane: Il minimalismo nella musica è forte, è ipnotico. Secondo me quei compositori si facevano delle canne da qui a Semprognano, hai presente dov'è? Ecco, prova ad andarci.
R: Allora ci parli del minimalismo o ci parli di lei?
C: Lei chi?
R: No scusa, che cavolo c'entra altrimenti Semprognano col minimalismo? Chi c'è a Semprognano?
C: Una segugia irraggiungibile.
R. Allora ripeto la domanda, ci parli del minimalismo o ci parli di lei?
C: Francamente preferirei di lei , ma non riguarderebbe nessun altro.
R: Chi te lo dice? Sai quanta gente cerca di scoprire come funzionano gli altri o se gli altri funzionano come loro stessi?
C: Eccoci all'acqua, poi quando scoprono che non è così son cazzi. A me non importa di trovare me stesso negli altri, io sono io, mi basto e avanzo, m'importa di andarci d'accordo con gli altri, anche se sono diversissimi da me, questo è il bello. Nessuna discriminazione, salvo per gli imbecilli.
R: Sì, buonanotte, allora questo minimalismo?
C: Non lo conosco molto, non mi appassiona veramente, forse è invidia ma quel che ho ascoltato è assai ripetitivo, gioca su piccole variazioni, suggerendoti di ascoltarle meglio, di fissarti su piccoli frammenti, mentre intanto, a seconda dei casi, si creano intorno delle scene che amplificano ancora di più i particolari, ripetendoli come un mantra. E' l'opposto della melodia, mi verrebbe da dire, la scarnificazione della linea melodica, che viene ridotta quasi all'inesistenza. Ecco vedi, accompagnare una melodia è come tesserle un tappeto sotto i piedi man mano che avanza, è sostenerla nel suo ideale, nel suo sogno.
Oppure è costruirle intorno un recinto... dentro al quale possa muoversi liberamente. Più il recinto sarà ampio e più sarà libera. Fino ad abolire il recinto... col rischio di vederla dissolvere nel nulla se il recinto era il suo unico volto.
R: Le melodie sono pericolose, direbbe qualcuno.
C: No, lo sono i recinti. A me sembra che i minimalisti costruiscano splendidi recinti, senza niente dentro, o tappeti ricamati senza nessuno che ci balli sopra, e questo può essere divertente, hai visto mai. Chi lo desidera, se ne è capace, potrà mettere nel recinto quello che vuole, o far danzare lungo il tappeto la ballerina che desidera.
R: Ci vive una ballerina a Semprognano?
C: I cani sono più bravi di te a farsi i cazzi suoi. Stavo dicendo, ah sì, i recinti.
I tappeti invece sono diversi, possono essere lunghissimi e stretti come delle guide, possono curvare o possono interrompersi, nel qual caso chi ci cammina sopra dovrà bloccarsi all'istante. Sono tappeti volanti, sotto non c'è un pavimento, stiamo parlando di musica.
R: Scusa, pensavo ad altro. Ah, sì, quelli che chiamavo tappeti d'archi, Mahler era a mio avviso il miglior tessitore.
C: Mahler non era un minimalista!
R: E chi ha detto questo? Che fai ringhi? Oh bellino, hai le paturnie? Con chi mi stai scambiando? E poi oh, si potrà pure pensarla diversamente da te no?
C: Diversamente è un conto, dire cazzate un altro!
R: Ma infatti, la mia era solo una memoria sulla parola tappeti, non volevo dire altro. Ecco, vedo che un pochino hai scodinzolato, forse il tono della mia voce ti ha calmato.
C: Io sono spesso spaventato o spaventabile, è un grave difetto, ho poche certezze.
R: Allora ascolta queste note.

Mi sono alzato dal divano e ho messo un cd con musiche di Leo Brouwer, Toru Takemitsu, Flores Chaviano, Joaquin Clerch e altri. Conoscevo pochissimo questi autori e non conoscevo il chitarrista, una carenza imperdonabile, per me ovviamente. Ho guardato il cane con aria di provocazione, sperando facesse qualche apprezzamento o che raccontasse un aneddoto. Invece...

C: Tu vorresti che io parlassi di musica, ma questo post è iniziato con la storia di una campanella, un bubbolo, come questo che ho legato al collo e che solo tu hai sentito, perché io non esisto.
R: E io con chi ho parlato? Se aspetti che ti dica che parlo con me stesso aspetti parecchio.
C: Parli con la ballerina di Semprognano.
R: Ma è nei miei sogni, non esiste, è la musica che non riesco a scrivere, è quello che non riesco a essere, è quello che non riesco a dire.
C: Bene, allora sei stato onesto, hai scelto il cd adatto, attraversa mondi musicalmente e temporalmente diversi. Quando si incidono cd come questo la scelta dei brani è come una sceneggiatura, il filo, o meglio, il senso sono fondamentali. Ricardo Gallén inizia col più classico degli spagnoli, Joaquin Rodrigo, per chi non lo conoscesse è l'autore dello strafamosissimo Concerto di Aranjuez, vada altrove chi non conosce nemmeno quello! Poi Ricardo vola a Cuba (Gallén è cubano) e ci propone un virtuosissimo Joaquin Clerch con “Guitarresca”.
R: Mai sentito nominare prima d'ora, accidenti alla pigrizia!
C: Non sei a un esame, e non puoi ascoltare tutta la musica del mondo.
R: No, ma dovrei ascoltarne molta di più.
C: E diversa, anche la più lontana geograficamente.
R: Che te ne pare delle sonate di Leo Brouwer?
C: Stupende, sognanti, irriverenti, sincere. Le avvicineri idealmente alle Children's Songs di Chic Corea.
R: Non fare il mentecatto, sono due cose completamente diverse, io le avvicinerei a tutto ciò che non riesco a fare e che lui invece fa.
C: Oh, non preoccuparti di questo, riconoscere ciò che si ama anche se non lo si può avere è una prerogativa umana.
R: Per te funziona così?
C: Io amo ciò che ho, ma questo l'ha già detto Tolstoj.
R: Ecco, ascolta, questo è Takemitsu, ricordi? Kubrik scelse un suo brano per 2001 Odiseea nello spazio.
C: E' diversissimo, è tutt'altro da allora, non ha fatto il furbo, si è messo in discussione, ha camminato, ha cercato e non ha smesso di essere un musicista.
R: Ami la storia? Voglio dire i percorsi, le trasformazioni.
C: Sono un cane, ho poca memoria, tranne quella ripetitiva se mi insegni ad abbaiare a un tuo segnale. La mia memoria vera è per risonanza, somiglia quasi a un istinto.
R: Grazie al cavolo, sei un cane, avrai l'istinto no?
C: Dimentichi che non esisto.
R: Già.
C: Ecco, sta finendo il cd e cosa ha scelto Gallén come ultimo brano? Il meraviglioso preludio n°5 di Tarrega, una chitarra che intona con semplicità tutto il suo luminoso ed erotico languore, tutta la sua dolcezza, tutta la sua intimità.

Il cane se n'è andato, ho sentito per un po' il bubbolo tinnire nella notte, sempre più in lontananza.

6 commenti:

Grazia ha detto...

Ma che cani conosci, tu? Quelli che su affacciano da me si limitano ad abbaiare. Comunque la musica di cui avete parlato me la cerco subito. Non sia mai che il cane passi anche da me. Tanto lo riconoscerò dal bubbolo!

amanda ha detto...

certo che da quelle parti pure i cani crescono dotti ora mi ascolto Tarrega anche senza bubbolo

giacy.nta ha detto...

Certo che il tuo cane ne dà di dritte! Una guida all'ascolto simpaticissima.:))

p.s.
non dire al cane che ascolto i minimalisti di tanto in tanto!

ruhevoll ha detto...

Io mica lo so che bestie strane mi capitano alla porta, ma se sono gentili le faccio sempre entrare.
:)

Zio Scriba ha detto...

"Serve a ricordarmi che vengo dalla campagna". Be', sarà che io sono un lettore e uno scrittore, ma devo dire che per tutto il tempo dedicato al tuo post, pur appassionandomi al dialogo e al minimalismo e ai musicisti ecc., quella che continuava a risuonare in me era la meravigliosa frase di tuo padre. Degna del miglior romanzo.

ruhevoll ha detto...

@Zio, non sarei in grado di costruirci sopra un romanzo, ma di sicuro è una frase illuminante, direi compositiva. Perché compone quello a cui vuoi arrivare con quello da cui provieni, dandoti una misura della relatività delle distanze pur nella loro enormità.
Erano gli anni del boom economico (a sentirle oggi queste due parole sembrano uscite da un romanzo fantasy o dal delirio di un politico imbonitore) e molte persone si trovarono delle possibilità economiche prima irrealizzabili. Quella frase forse serviva a esprimere una certa cautela nel non confondere il progresso economico con quello umano. E la storia recente sembra dargli ragione.