venerdì 24 febbraio 2012

Suono, pelle, odore. Il resto è roba da vecchi.


C'è poco da fare, ultimamente scrivere sul blog mi rende triste, non so bene come spiegarmi questa cosa ma è così, somiglia un po' al tirarsi una sega, un piacere incomunicabile e solitario, non condivisibile per antonomasia. Questo mondo virtuale, così apparentemente vasto, mi sembra un'illusione, una prigione ed io mi vedo come uno che getta bottiglie piene di messaggi inutili attraverso le sbarre. Di là dal mare qualcuno li legge, e gliene sono riconoscente e grato, ma alla fine mi tornano indietro solo altre bottiglie, con dei messaggi certo, ma il vetro freddo mi racconta di quanto è poco umana questa consuetudine.
Una consuetudine da carcerati.
Venite a trovarmi se ne avete voglia, perchè ormai sono tornato libero e qui non ci sarò più.
E se per sbaglio o per caso mi sono tirato delle seghe si sappia che non le ho mai apprezzate, lasciano sempre l'amaro in bocca, fiaccano la vitalità e conducono ad un'indifferenza poco creativa.
Ah, vi consiglio il concerto n.1 per violino e orchestra di Shostakovic, lo stanno trasmettendo proprio adesso su radio 3.
Quanto è bello ascoltare chi ha davvero qualcosa da dire, da quasi la sensazione di una bella scopata, quasi, ho detto quasi. Il concerto è eseguito su uno Stradivari del 1702, ma anche se fosse eseguito su un qualsiasi altro buon violino non cambierebbe nulla, purtroppo, che ci volete fare, il feticismo vuole la sua parte.
Scopare non è affatto una cosetta facile come una sega.
Cosa c'entra la foto col post? Non saprei, mi piaceva il fatto che a lei non posso scrivere una mail, o le parlo modulando la voce come fosse musica o le sfioro delicatamente le guance. Io la guardo ma lei ancora non mi vede bene e quindi ha solo il suono, la pelle e l'odore come strumenti di rapporto.
Cosa c'è di meglio al mondo?

sabato 18 febbraio 2012

La Pieve dei miracoli acustici (una piccola memoria)



La cosa andò così: nel 1994 degli amici architetti avevano realizzato un bel modello per un progetto nella piana di Castello al quale lavoravano dal 1992, si chiamava "Firenze: la nuova città". Decisero di farne un video (che purtroppo non è on-line) e mi chiesero di aiutarli con la musica dal momento che non volevano mettere commenti esplicativi. Io proposi alcuni musicisti fra i quali si poteva scegliere, ma loro pretendevano una musica originale. Il mio narcisismo era lusingato ma le gambe mi tremavano. I presupposti erano chiari, doveva essere una musica che riecheggiava l'isteria gotico-rinascimentale fiorentina (sorvolo sui motivi che ci condussero a questa definizione) fondendola con un'idea propositiva di superamento della frigidità in cui la città è rinchiusa fin da quei tempi.
Facile una sega!
Ma come ogni imbecille mi buttai dentro l'impresa senza pensarci troppo, tronfio di un'onnipotenza che in breve m'avrebbe sputtanato denunciando i miei enormi limiti.
Dopo aver inutilmente tentato di elaborare una variazione su un mottetto di Dufay (il celebre Nuper Rosarum Flores) tirai fuori dalla cassapanca dei ricordi un tema per oboe che, suonato da un violino, dava abbastanza l'idea dell'isterica intoccabile. Poi aggiunsi una viola, morbida e dialogante, ed un violoncello che mi garantisse un sostegno drammatico. Ecco fatto il trio, ora si trattava di registrarlo. Mi rivolsi ad un'amica violista e lei contattò due suoi amici, una violinista ed un violoncellista. Facemmo delle prove, delle quali non ero convinto, ma pensai che se avessero provato un po' di più ce l'avrebbero fatta e quindi fissai lo studio di registrazione, i tempi erano stretti. Andammo, registrammo, pagai (come un onesto cretino) i musicisti e lo studio di registrazione ed alla fine mi ritrovai con una porcheria inascoltabile. Mancavano tre giorni alla data fissata per il mixaggio col video ed io ero disperato.
La mattina seguente me ne andai alla scuola di musica di Fiesole, dove ancora fingevo di studiare composizione, mi sedetti sconsolato su un muretto del giardino e attesi il miracolo. Il miracolo arrivò dopo circa un quarto d'ora, aveva le fattezze di un bravo violista che avevo conosciuto da poco e che suonava nella giovanile. Si avvicinò per salutarmi ed io gli esposi il problema, lui dette uno sguardo alle partiture e disse che ne avrebbe parlato con due suoi colleghi, ma era sicuro che ce l'avrebbero fatta. Io però non potevo più spendere altri soldi per lo studio, e oltretutto ero deluso dall'utilizzo dei riverberi artificiali. Ed ecco il secondo miracolo: il violista aveva le chiavi di una pieve dell'XI sec. con un riverbero naturale da brividi. Ci andammo la sera successiva, io portai il mio DAT portatile e un ottimo microfono stereo. In un paio d'ore avevamo fatto il possibile, incidendo tre volte il brano e il giorno dopo feci un montaggio delle parti meglio riuscite. Non che fosse il massimo, intendiamoci, ma almeno era ascoltabile, perchè gli archi, se non hanno un'intonazione pressochè perfetta, attaccano lo stomaco e producono gastrite, oppure generano incubi e progetti suicidi o istigano alla devastazione degli strumenti e al linciaggio degli strumentisti.
Il video ha poi fatto il giro del mondo perchè fu inserito in una mostra itinerante sui progetti di una nuova architettura, quello che mi preoccupava era la ripetitività dell'ascolto, me ne accorsi a Barcellona, dal momento che veniva riprodotto in un monitor all'interno dell'installazione ed ogni mezz'ora ricominciava da capo insinuandosi in ogni angolo della mostra! Roba che alla quarta volta che lo riascolti sfasceresti il monitor, alla quinta uccideresti il compositore ed alla sesta anche l'usciere...
Ancora oggi, quando lo ascolto, lo stomaco soffre per certe sbavature e per lo scarso equilibrio sonoro, cose che si potevano ottenere solo con un adeguato numero di prove, con un bravo tecnico del suono e con un affiatamento che non furono possibili.
Quanto alla qualità della composizione non sta certo a me demolirla, ma il riverbero della pieve è impagabile e riveste di bellezza anche cose mediocri.


Trio del papiro  (cliccare per ascoltare, fa anche rima)





La giostra



Una dolcissima amica mi chiedeva come mai non postavo più niente e mi spronava a parlare di musica perchè le interessa. Giuro che lo farò, ma adesso le chiedo scusa perchè devo postare un polpettone lungo (quanto invidio la sintesi poetica di mia euridice!) e ripetitivo che se n'è venuto fuori dalla penna e dai pensieri proprio dopo che avevo scritto un piccolo aneddoto musicale per soddisfare la mia gentilissima amica. Non so che farci, sono un dispersivo a tempo perso.


Forse la parola verità, quando le si vuole dare un senso assoluto, assume un'evanescenza opinabile. Ultimamente preferisco cercare di individuare le cose per quello che sono, al di là, per quanto posso, dell'apparenza e dell'assoluto, poichè tutto si trasforma, ma quello che è, è. E quindi la verità assume un ruolo a tempo indeterminato, che magari può diventare anche infinito, ma non per questo ammantarsi di un assolutismo insopportabile, quanto inaccettabile, per il divenire stesso della conoscenza.
Tutto è e deve essere ricerca continua, in una perpetua messa in crisi del sapere costituito ed in una costante verifica degli assunti teorico-scientifici.
Quando frequentavo la facoltà di lettere e filosofia avvertivo un certo smarrimento di fronte alle innumerevoli ipotesi filosofiche sull'esistenza che erano state formulate nel corso dei secoli. Da buon ragazzotto esuberante, sprovveduto e coglione, mi domandavo però una cosa: i filosofi usano il pensiero e parlano di pensiero, ma quale metodologia di pensiero hanno a monte di tutto? In altri termini constatavo l'enorme difficoltà del pensiero a pensare se stesso. Non a caso iniziai molto presto ad interessarmi di psicologia e psichiatria, ma ero di spalla tonda e non fui capace di iscrivermi a medicina, per cui abbandonai anche filosofia, non avendo l'indole del topo di biblioteca nè quella dell'osservatore-conservatore di saperi morti.
Scoprii molto tardi la necessità di un sapere scientifico che superasse la grettezza del positivismo ottocentesco, positivismo che consegnava nelle mani dei religiosi o dei filosofi tutto quel mondo interiore che per il positivismo era incomprensibile e che veniva definito, fin dai tempi dei greci, come irrazionale. Ecco, quella era una falsa verità sulla quale è stato costruito il cosiddetto logos occidentale. Se vogliamo andare avanti dobbiamo risolvere quell'errore, perché non ci sarà mai nessuna evoluzione e trasformazione umana se quel tarlo razionalistico non verrà affrontato con una metodologia di pensiero diversa, ossia con un pensiero che non sia infettato da quell'assunto razionalistico.
So bene che è la cosa più difficile del mondo, si chiama salto qualitativo, lo stesso salto che la natura biologica fece quando comparve l'essere umano, simile all'animale ma assolutamente e, soprattutto, qualitativamente diverso.
Cosa ci diversifica dagli animali?
Non certo la ratio, perchè a osservare i castori c'è da togliersi tanto di cappello in quanto ad ingegneria fluviale, quindi?
La fantasia.
Ma quando si parla di fantasia il mondo si popola di fantasmi (della libertà?) ed il vecchio terrorismo greco-cristiano si affaccia ad ammonire: c'è la pazzia nascosta nell'essere umano e solo la ragione potrà controllarla!
E a pensarci bene, in un certo senso, un po' avevano ragione, perché la pazzia, intesa come malattia del pensiero e non come cerebropatia, è una prerogativa unicamente umana. Però, per ritornare all'inizio, non è la verità, è patologia. Pensarla come verità significa credere che la malattia sia "naturale" in tutti, il ché è un assurdità, sarebbe come pensare che nasciamo tutti con la cirrosi epatica.
E quindi la domanda: cos'è che fa ammalare il pensiero?
Come mai non si è arrivati a pensare che era una certa "cultura" ad essere "malata"? O quanto meno che bisognava tentare di rifiutarla-curarla-trasformarla?
Una malattia autoimmune? Forse un po' sì, fintanto non si raggiunga la capacità di immaginare una metodologia di pensiero diversa, nè grettamente positivista nè delirantemente religiosa.
Occorreva un'idea, ci raccontavamo con gli amici, delle ali capaci di superare la menzogna del "peccato originale" senza liquidarlo marxianamente (che va già bene ci mancherebbe) ma scoprendo finalmente le dinamiche della nascita del pensiero umano (non materiale) dalla realtà biologica (materiale).
Senza questa ricerca la verità sulla realtà umana resterà sempre un'evanescenza opinabile. Con questa ricerca forse non avremo la verità assoluta ma sicuramente non saremo più prigionieri di un errore plurimillenario che ci fa girare su noi stessi.
A chi fa comodo che noi giriamo in tondo?
A chi gestisce la giostra!
La psichiatria è anche lotta politica.