mercoledì 20 giugno 2012

Un piccolo grande cane




Leggendo il blog di un'amica mi è venuta voglia di dedicare un post ad un grande cane che in realtà era molto piccolo.
Il suo nome d'origine, quello sul pedigree, era Elk dei prativerdi, ma la sua padrona lo chiamò Bilbo, come il personaggio del Signore degli anelli.
Bilbo era uno Shitzu, una razza i cui esemplari più belli venivano portati dai monaci tibetani in omaggio all'imperatore.
Ma vorrei lasciare da parte le antiche e nobili origini per parlare di lui.
A dire il vero quando iniziai a frequentare la sua padrona avevo dei pregiudizi sui cani che ritenevo fossero ninnoli da salotto. E le dimensioni di Bilbo, che a quei tempi non aveva ancora due anni, corrispondevano in pieno a quella tipologia, ma la sua padrona, una bravissima pittrice, non lo teneva certo come una bomboniera ed il suo aspetto era assai selvaggio e fricchettone, oserei dire da barbone se non temessi di offendere l'identità di Bilbo.
Estremamente orgoglioso, testardo, indipendente, autonomo e poco propenso alle moine, salvo le grattatine sulla pancia, Bilbo, mi fu spiegato da un esperto, era per carattere un dominante e non temeva cani di taglia ben più grossa della sua. L'ho visto ringhiare ad un Rottweiler che si accucciò timoroso in un angolo, mentre invece una volta pensò di mettere al suo posto un pastore tedesco, meno remissivo del Rottweiler, col risultato che Bilbo non potè alzarsi dalla cuccia per due settimane. Che Bilbo venisse dal Tibet lo capii durante le escursioni invernali, quando lo vedevo avanzare intrepido nella neve alta che gli si attaccava al pelo e gelando lo raddoppiava di peso. Ma lui non si fermava di fronte a niente. Da dove traesse tutta quella energia non lo so davvero, ma notai che la struttura fisica era quella dei molossi, zampe corte, un po' storte e muso schiacciato, un disastro estetico ma simpaticissimo. Il pelo poi ingannava molto sul suo vero aspetto, perché quando era bagnato fradicio si notava la sua atletica e snella corporatura. Shih-Tzu significa cane leone.
Era fondamentalmente buono e affettuoso, l'unico problema che aveva era il terrore dei temporali, li percepiva ben prima che arrivassero ed iniziava a perdere la testa, sgranava gli occhi e cercava rifugio ovunque senza trovar pace.
Bilbo girellava liberamente per il quartiere e quasi tutti lo conoscevano e gli volevano bene, ma per rassicurare gli estranei che lo vedevano da solo pensando che si fosse smarrito, la sua padrona gli aveva scritto un messaggio su una medaglietta supplementare che recitava così:
Sono Bilbo, non mi sono perduto, torno da solo, grazie!
Fu durante uno dei suoi piccoli vagabondaggi che fu sorpreso da un violentissimo temporale. Nel frenetico tentativo di cercare riparo salì al volo su un autobus e creò scompiglio fra i passeggeri, poi l'autista lo scaraventò di sotto alla fermata successiva (da allora detesto gli autisti dell'Ataf!). Questo mi fu raccontato da una gentile signora che scese dall'autobus per salvare Bilbo e lasciarlo in consegna ad un Hotel del centro affinchè avvertissero il proprietario del cane.
Un altro episodio simile avvenne durante il G8 a Firenze, sempre a causa di un temporale Bilbo scappò ed entrò nella "zona rossa" del summit. Fu prontamente catturato dalle forze di polizia quale pericolosissimo sovversivo e condotto in gattabuia. Lo recuperammo al canile il mattino seguente, aveva l'aria di un vero teppista che ne ha passate di tutti i colori ed è fiero delle sue avventure.
Bilbo morì all'alba di un giorno d'ottobre nella mia casa di campagna, aveva sedici anni e mezzo. Lo avvolsi in una tenda di cotone bianco, inzuppata delle mie lacrime, scavai una piccola buca nel prato a destra della casa e lo seppellii. Lì accanto adesso c'è un piccolo pero e penso che prima o poi ai frutti spunteranno i peli di Bilbo.

martedì 12 giugno 2012

Il genio è saggezza e gioventù (E.L.Master)




Scrivere è un po'  come versare il tempo in un'ampolla.
Chi legge apre l'ampolla ed il tempo si rimette a scorrere.
La forma della musica è il tempo, e questo vale anche per la scrittura.
Dette, anzi scritte, queste banalità mi soffio il naso per una autocompiacente commozione. Adoro sfottere il mio narcisismo, lo trovo terapeutico e forse mi fa anche benvolere.
Chi invece non si soffiò il naso ma il cervello fu Carlo Gesualdo.
Era sicuramente un egocentrico narcisista, oltre che un assassino. Mi mette a disagio pensare che Carlo Gesualdo Principe di Venosa venga considerato un "genio" originale per le sue composizioni musicali, mentre per quanto riguarda il suo gesto criminale nessuno nota che non si discostò in nulla dalle brutali usanze della sua epoca.
Spesso penso che la sua biografia si sovrapponga all'opera e confonda le menti sottomesse alla consunta e stantia idea di "genio e pazzia".
Questo bastardo uccise la moglie ed il suo amante, architettando la messa in scena della propria assenza di due giorni per andare a caccia e poterli così cogliere in flagrante. All'epoca questo gesto assurdo era considerato "dovuto".
I due amanti invece erano, loro sì, originali e rivoluzionari, perchè sapevano che Gesualdo li avrebbe uccisi e non fecero niente per dissimulare il loro legame amoroso.
Forse anticipavano addirittura il romanticismo.
Se Gesualdo fosse stato veramente un genio avrebbe gestito l'affare con ben altro stile. Lui non amava la moglie e sappiamo bene che a quei tempi i matrimoni erano solo contratti d'affari e quindi tanto valeva cercare una soluzione alternativa.
Il mio concetto di genio è evidentemente molto lontano da quello comunemente accettato e che non tiene conto della scissione.
Gesualdo si avvalse poi delle sue conoscenze altolocate per salvarsi la pelle e qualche anno più tardi convolò a nuove nozze (sempre d'interesse ovviamente) con Eleonora d'Este.
La musica di Gesualdo è, a mio avviso, pesantissima, cupa, colma di una dissonanza cerebrale e contorta. Se mi si passa il salto temporale posso dire che è quanto ci sia di più diametralmente opposto all'arte di Mozart.

lunedì 4 giugno 2012

L'arte di ignorare la povertà



"I Pascoli del Cielo" è il libro che rese famoso Steinbeck a livello internazionale. Sono un insieme di racconti ambientati in una terra che porta, appunto, quel nome.  Sono tutti bellissimi ma ne ricordo uno che, mentre lo leggevo, mi riempiva di uno struggimento indescrivibile. 
E' il VI capitolo, dove parla di Junius Maltby e di suo figlio Robert Louis (in onore di Stevenson) detto Robbie.
Riporto solo un breve stralcio in cui il consiglio scolastico decide di regalare degli abiti nuovi a Robbie, che andava in giro libero, scalzo, con gli abiti laceri e spettinato (come suo padre d'altronde). La maestra si oppone a questo regalo per difendere il ragazzo ma senza risultato, e quindi lui viene invitato ad aprire il pacco.
Subito dopo arrossisce e scappa.

La signora Munroe (che aveva acquistato gli abiti) si rivolse, tutta sconcertata, all'insegnante
"Che gli è successo?"
"Credo che sia rimasto imbarazzato" rispose la signorina Morgan (l'insegnante).
"Ma perchè dovrebbe esser rimasto imbarazzato? Noi siamo stati gentili con lui."
La signorina Morgan cercò di spiegare, e s'irritò un poco nel tentativo.
"Io credo, vedete" disse "ch'egli non sapesse di essere povero, fino a un minuto fa."