mercoledì 26 ottobre 2011

Legno norvegese, ricordi adolescenziali e vinello nel cervello. Mescolare bene!

A volte, con il dovuto quantitativo di buon vino e le conseguenti stonature, si può arrivare ad interpretare il senso di una vecchia canzoncina come quello di un conflitto fra lavoratori e disoccupati. Non è però consigliabile dar sempre fuoco a tutto.

I once had a girl, or should I say, she once had me... 
She showed me her room, isn't it good, norwegian wood? 


She asked me to stay and she told me to sit anywhere, 
So I looked around and I noticed there wasn't a chair. 


I sat on a rug, biding my time, drinking her wine 
We talked until two and then she said, "It's time for bed" 


She told me she worked in the morning and started to laugh. 
I told her I didn't and crawled off to sleep in the bath 


And when I awoke, I was alone, this bird had flown 
So I lit a fire, isn't it good, norwegian wood.
Buone cuffie please...!
(Ma sospenderò i commenti, perchè sarebbero un po' imbarazzanti no?)

giovedì 20 ottobre 2011

Varada Mudrā



A volte piovono fiori.
Te li ritrovi addosso e ti senti felice. Li prendi come un regalo. Forse. O forse no, non sono un regalo, sono nati dai semi che hai lasciato lungo il cammino.
E la cosa ti appare ancora più bella.
Gioisci soprattutto della bellezza altrui, quella che vien fuori alla distanza, perchè sono gli altri ad aver coltivato quei semi, senza calpestarli, ad averli nutriti di quell'amore intelligente che fa nascere le cose, quelle cose che prima non c'erano.
Si chiama creatività.
Senza calcolo, senza ragione, senza contratti, ma solo grazie a quel filo invisibile che attraversa la nostra esistenza come un fiume carsico e che ogni tanto affiora in polle d'acqua limpida, ristoro e sorpresa dei viaggiatori solitari.
E continui a camminare, con un segreto felice nelle tasche.

domenica 16 ottobre 2011

elefanti e cristallerie

Gli arabi sono (ed erano) sensuali perchè usano i sensi e non temono il corpo come i cristiani. Basta pensare alla musica, fino dai tempi degli antichi. Mentre invece quel sessuofobo di Platone nelle "Leggi" si scagliava contro l'uso dei semitoni e dei glissandi che la musica araba intonava con l'aulos, perchè li riteneva troppo lascivi e indefiniti, difficili da razionalizzare e per questo pericolosi. Lui prediligeva l'uso della lira, con corde dall'intonazione fissa e determinata, Apollo contro Dioniso. Che idiota Platone, un uomo a metà.
E pensare che Bartok gioì dell'invenzione del fonografo perchè gli permetteva di registrare ciò che la grafia musicale non riusciva rappresentare. Le "leggi" sarebbero state più intelligenti se le avesse scritte Bartok.
Uomo a metà Platone, ecco che le parole mi viaggiano in testa e si accoppiano nella memoria fino a far risuonare roba sepolta come questa frase, che la leggenda vuole sia stata pronunciata dalla madre al figlio Boabdil, ventiduesimo sultano della dinastia Nasrì a Granada, mentre questi piangeva il suo regno perduto:
"Piangi come una donna perché non hai saputo difendere il tuo regno come un uomo".
Le mamme sono stronze, a prescindere. Cazzo lo vai a rimbrottare proprio nel momento in cui gli girano di più i coglioni? Volevi che si fosse fatto ammazzare insieme al suo popolo? Oh, sarebbe stato di un eccezionale effetto eroico, ma poco efficace dal punto di vista del successo.
E poi quale negazione dell'identità femminile in quella frase di madre!
Viene da pensare alla fuga dei pacifisti di fronte alla violenza dei black block, ma mica è consigliabile usare le armi della violenza per proporre un superamento della violenza stessa, altrimenti il gioco dura all'infinito. Occorre trovare un'altra strada. Ma questo è un altro post.
Boabdil comunque non era un eroe, gli eroi si fabbricano in base alla fortuna e non al reale valore, vengono creati ad uso e consumo della cultura dominante.
E così Boabdil lasciò un paradiso che si chiama Alhambra, un luogo dove l'architettura araba celebrava la sensualità ed il piacere di vivere, la bellezza e l'intelligenza creativa.








Boabdil se ne andò nel 1492, vi dice niente questa data?
Nel 1526 ecco che quel cafone di CarloV si fece costruire un palazzo all'interno dell'Alhambra


 e che fa l'effetto di un gigantesco quanto insulso mattoncino di Lego dentro un tripudio d'intarsi e delicate armonie d'acqua e luce, il manierismo dell'architetto a cui CarloV s'affidò non potè far altro che appesantire un'idea già pesante e balorda di suo. Rispettare la cultura e l'arte altrui è un privilegio intellettuale di cui non hanno mai usufruito nè i cristiani nè gli integralisti in genere.
Ma l'arte vera, quando riesce a sopravvivere agli imbecilli, è imperitura testimonianza dell'intelligenza umana. E l'intelligenza umana non è mai violenta.

martedì 11 ottobre 2011

I sassolini dalle scarpe vanno tolti, si cammina meglio.



Cercano di infiltrarsi ovunque, di tenere un piede in ogni staffa politica. A loro poco importa delle idee altrui, gli importa di imporre le loro e per questo non guardano in faccia a nessuno, perchè sanno bene come si fa ad annacquare il pensiero altrui, a devitalizzarlo, ad imbrigliarlo, ad intrappolarlo. Questo loro particolare qualunquismo è frutto di un'esperienza di potere antichissima. Li paragonerei all'aids del pensiero, quello col quale infettano la sinistra. Con la destra non c'è bisogno di infezione, è già infetta di per sè.
Vedo nel nostro paesello, feudo del Vaticano, un proliferare di politici cattolici nelle file della sinistra. Parrebbe un loro fatto privato, ma solo un idiota lo può pensare. Come si può credere che le scelte di un cattolico non siano influenzate dalla sua fede religiosa? Come si pone un cattolico di fronte all'aborto o all'eutanasia? E come si pone di fronte alla possibilità dell'abolizione del concordato e dei privilegi fiscali di cui gode la chiesa?
Io lo chiamerei pensiero nascosto (neanche tanto e neanche bene) a monte. Quello che sta a valle è una pantomima, una farsa, un inganno, una maschera.
Pensare che possa esistere un cattolico di sinistra è il più assurdo degli ossimori, la più dissociata delle posizioni politiche. Questi signori, i cattolici della sinistra, sono i responsabili della sua debolezza, della sua confusione, del suo immobilismo, della sua incapacità a dare un nome alle cose, ma soprattutto della sua incapacità a trovare la propria identità. Nessuno può trovare un'identità nella dissociazione mentale.
Per questo i cattolici di sinistra sono utilissimi alla Chiesa, servono a devitalizzare le idee, servono a confonderle.
La Chiesa è ovunque in Italia. I luoghi in cui essa non riesce ad entrare sono pochissimi ed hanno pochissimo potere. Non importa che la maggioranza degli italiani se ne fottano della messa, importa che i cattolici siano ovunque c'è il potere, soprattutto dovunque e a chiunque esso vada.
Il nostro paese non cambierà mai fintanto la sinistra rimarrà un centro di potere privo di coerenza e di  identità. Perché mi pare ovvio che fintanto la sinistra permette che il pensiero cristiano  venga sovrapposto o equiparato al suo non ci sarà mai un pensiero di sinistra ma sempre e soltanto un pensiero cristiano.
E' per questo che dico che i politici cattolici devitalizzano la sinistra, le tolgono la linfa vitale necessaria ad ogni vera rivoluzione, quella del pensiero.
Un pensiero cristiano non può dirsi di sinistra, soprattutto se porta con sè l'idea del peccato originale. Un pensiero di sinistra non può essere cristiano, soprattutto se porta con sè il rifiuto della sofferenza umana.


E qui c'è un articolo molto importante, dal linguaggio diverso e non facile, ma di facile ci son solo le seghe.

sabato 8 ottobre 2011

Certe volte la speranza è la prima a morire.



Forse per seguirmi in certi ragionamenti e certe deduzioni occorre un po' di fantasia. Con questo non voglio intendere di aver ragione, il mio è solo un suggerimento, dato che mi rendo conto di usare una metodologia di pensiero un po' diversa da quella del razionalismo positivista.
Lo ripeto spesso: quando sento qualcuno giustificarsi con la legge di mercato lo guardo come potrei guardare un prete che farnetica di giudizio universale.
La cosiddetta legge di mercato altro non è che una banale osservazione, piatta e razionale, di un fenomeno dietro al quale si cela una visione dell'identità umana come "animale".
Volete che metta in ordine i miei pensieri?
In verità lo sono già, ma aggiungo un link interessante, che porta acqua al mio mulino.
La razionalità finalizza tutto all'utile e quindi fondare l'identità umana sulla ratio significa pensare gli esseri umani come animali, perchè non dovrebbe sfuggire all'intelligenza umana che gli animali non fanno mai niente che non sia finalizzato all'utile. Sono dunque razionalissimi.
Mai, dico mai, ho ascoltato un mottetto a quattro voci composto da un babbuino.
Se ci sono esseri umani che compongono mottetti allora vuol dire che non sono animali.
Un mottetto presuppone una fantasia e una capacità compositiva che esulano dalla razionalità per entrare nel mondo dell'arte.
L'arte è la capacità di immaginare e rappresentare non la realtà per come essa è ma per come la vediamo o per come potrebbe essere.
L'arte è una sorta di speranza (ma qui il discorso si fa complesso).
Gli economisti, purtroppo, non sono artisti e, quel che è peggio, sembrano accreditare la menzogna che mette sullo stesso piano l'uomo in rapporto alle cose con l'uomo in rapporto alle persone.
Il loro percorso mentale è piuttosto limitato perchè osservano (con l'illuminismo di Lavoisier) solo l'apparenza delle cose materiali e dicono che in natura nulla si genera, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
Prendiamo però l'ultima parola e rapportiamola non alla realtà fisica materiale ma alla realtà psichica umana, che è non materiale. Cosa significa in questo caso trasformazione?
Significa non pensare più con una metodologia di pensiero immobile e vecchia di migliaia di anni, poichè essa annulla implicitamente ogni trasformazione ed evoluzione del pensiero stesso. In altri termini il metodo razionale è nemico di ogni trasformazione perchè annulla tutto ciò che non corrisponde a se stesso, liquidandolo come ir-razionale (questo lo ripeto fino alla noia) ed inchiodando la ricerca della realtà umana sulla croce del positivismo.
Scoprire invece che è la capacità di immaginare a permetterci di pensare e che la ragione è solo una serva al servizio della fantasia significa finalmente attribuire valore al conducente dell'auto invece che alla sua auto.
Purtroppo ancora non è così e per questo l'economia mondiale passa sopra i cadaveri di milioni e milioni di persone pur di vendere auto, armi o qualsiasi altro oggetto, in un'ottica di crescita illimitata che, a ben guardare, è schizofrenica perchè contraddice il principio stesso di Lavoisier.
La legge di mercato è la cosa più stupida e violenta che si possa invocare, al pari del debito pubblico che è inestinguibile per sua stessa natura.
Riprendo quindi la domanda di Pessoa del precedente post:
Dove sono i vivi?

giovedì 6 ottobre 2011

Mi consola



Mi sconvolge, mi affascina, mi incanta, mi fa male, mi seduce, mi dilania. Tutto soltanto con delle parole scritte. Sto parlando de Il libro dell'inquietudine di Fernando Pessoa. Non ho mai trovato in tutta la mia vita di lettore nessuno che scrivesse come lui. Questo libro è da tempo accanto al mio letto, ne leggo poche pagine alla volta, perchè tanta è l'intensità delle sue parole, irripetibili se non alla lettera. Lo centellino come un liquore forte, ne faccio uso parsimonioso come fosse una droga pesante, mi rivolgo a lui quando lascio cadere un libro stupido o quando i "mi piace" di internet mi lasciano un'amara solitudine negli occhi, o ancora quando vedo che parlare di politica e di futuro nel mio paese è come parlare di sport.
Pessoa usò anche lo pseudonimo (sarebbe più corretto dire eteronimo) Alexandre Search, in quel cognome c'è il cardine di ogni movimento: la ricerca.  
Peccato non conoscere il portoghese. 

"Avanzo lentamente, defunto, e la mia visione non è più mia, non è niente: è quella dell'animale umano che ha ereditato senza volere la cultura greca, l'ordine romano, la morale cristiana e tutte le altre illusioni che formano la civiltà all'interno della quale io percepisco.
Dove saranno i vivi?" (F.Pessoa, il libro dell'inquietudine)

mercoledì 5 ottobre 2011

Giardino (riciclaggio)



Al mattino il giardino era una meraviglia, non c'era quasi nessuno in giro e la giovane luce, ancora obliqua, s'inseriva di taglio tra gli alberi creando giochi multicolori fra le foglie, mescolandosi alla nebbiolina carica di odori di terra umida. Con il fresco pungente nelle narici e le mani in tasca mi avviai per il maestoso viale, il crocchiare della ghiaia sotto le scarpe echeggiava breve nel silenzio, qualche merlo razzolava i prati circostanti. Profondità era la parola per quel quadro settecentesco. Alberi preziosi e carichi di storia, vialetti persi come pensieri, armonia di forme e di fontane, anfratti riparati sotto al bosso, intrecci di rampicanti sulle pietre, statue nude gorate di verde muschio, rare figure passeggianti sullo sfondo. M'immaginai già in quel tempo lontano. Un carretto spinto da un giardiniere comparve dietro al fusto di un grosso leccio, un cappellacio logoro e due stivali, pennato, vanga e uno zappetto, due sacchi di terriccio e una camelia. Buondì, gli faccio un cenno con la testa,  quello risponde schivo e guarda altrove, mi lascia ai miei pensieri senza fretta. Ritorno solo in mezzo a quel viale. Respiro l'aria buona e straripante d'ogni sfumatura di verde e di marrone, di grigio pietra e cielo azzurro e vado avanti, verso il gran palazzo. Che lusso inarrivabile e osannante, che sfarzo che rigoglio di volute, un muoversi continuo e statuario soggioga l'occhio villano e poco avvezzo al lusso ad una reverenziale sottomissione. Il cuore già commosso si restringe, la forza del potere lo sorprende, l'abilità nel saper fare, il numero di braccia che l'han fatto, quelle non si contano, hanno basso prezzo e poco desinare. Potenza a diluviare in quelle gronde, ciuffi di pietra sotto a sostenerle, riccioli scolpiti ad arte nel disegno, così come voleva l'architetto. E braccia e mani grosse su a portare e gambe e funi ed argani a tirare. Travi colossali e lastre immense, mi gira la testa, mi sento piccolo, sperduto in un secolo non mio, in un luogo non mio, frastornato da una ricchezza che non mi torna, che non m'inganna, e torno indietro, lo visiterò più tardi, quando ci sarà più gente a ripararmi. Ferito lievemente nel pensare a quante villanotte avran sognato di starsene sdraiate sopra un prato cullate dal signore del palazzo, Zerline furbe ed anche sciocche, quei sogni sono sempre i loro balocchi, puttane o ingenue tremanti, volevano portare tutte i guanti. Chissà quel giardiniere se li porta, le spine delle rose fanno male, ah già ma aveva una camelia, starà pensando a dove travasarla. Decisi di andarlo a ritrovare, magari in disparte per non disturbare, mi sembra ombroso come tipo, vedrò come lavora e come si muove.
Nel fresco di un pratino ben curato, fra un gelso ed un ontano, vedo una figura nella mezz'ombra che ha scavato già una bella buca. Mi fermo a una ventina di passi e sento fischiettare, e penso che l'umore non l'ha guasto, invidio il suo lavoro e la sua calma, deriva di sicuro dai lunghi tempi delle piante, ecco si volta e mi fa un cenno, mi viene incontro per parlare, guardo la figura avvicinarsi e il controluce inganna i miei occhi, o forse no, non capisco, non è lui, è una ragazza. Mi accorgo che intorno non c'è il carretto, e intanto lei già mi sta di fronte.
La prego, dice un po' affannata, mi potrebbe aiutare a spostare quella pianta? Mio padre è andato alla serra e da sola non ce la faccio, se non mi sbrigo il padrone mi da un sacco di legnate, vuole tutto a posto per la mezza.
Il padrone? Legnate? Tutto a posto per la mezza? Guardai frastornato quel volto sudato e magro, ciocche di capelli rossi uscivan da una cuffia, un grembiulone scuro di terra fino agli stivali. Mi sembrò di essere in un film comico di qualche anno prima. Mi guardo per me e son sempre io, vestiti compresi, niente di diverso. Alzo gli occhi e la vedo ridere come una matta. Uno scherzo? Chiedo senza sapere che faccia ho. Lei ancora non riprende fiato.
No, alterna a un altro attacco di risa, è che stiamo provando una scena ed io credevo che lei facesse la controparte.
Mi giro intorno e non vedo cineprese o altro materiale del genere e torno a guardarla più che mai stupito. Ora si è calmata e quasi seria mi fa: è teatro sperimentale, ha presente? Ci inventiamo le scene al volo ed io pensavo che l'avessero avvertita all'ingresso.
Avvertito di cosa?
Che nel giardino c'erano degli attori, che avrebbero coinvolto i visitatori in scene improvvisate, sulla vita qui nel settecento. Io ho scelto di fare la figlia del giardiniere, l'ha già incontrato prima e me l'ha detto lui di cominciare con lei per rompere il ghiaccio.
Il ghiaccio l'ha rotto di sicuro, dico cercando di riprendermi, ma io cosa dovrei fare? Chiedo impacciato e dispiaciuto per non esser stato subito al gioco, le ho rovinato la scena?
No, sorrise, io sono una pivella, mica una professionista, cerco di imparare e ho poca o nulla esperienza.
Sarà, dico, ma al di là del copione che aveva in testa, se qualcuno avesse ripreso quel che è successo due risate se le sarebbe fatte di sicuro.
Ma lei davvero non era al corrente? Non le hanno detto nulla all'ingresso?
Io non entro dall'ingresso principale, risposi.
Senta, mi chiese, le andrebbe di aiutarmi a sciogliermi un po'? A fare qualche prova, fra poco qui ci sarà gente e io devo capire se la mia scena può funzionare, non la disturba vero, non le faccio perdere tempo?
Il tempo? Domandai, che c'entra il perder tempo, qui di secoli ce ne son già tre distesi in terra, qualche minuto in più non si potrà notare.
Un partner filosofo mi son trovata, sorrise ironica, darà lustro alla mia parte, siamo nel secolo dei lumi, fece già accalorata. Allora, continuò, l'approccio l'ha già sperimentato, adesso bisogna andare avanti con le risposte, che so, mi dica quello che le viene in mente.
Bene, risposi, il padrone ha ospiti di riguardo se mette anche le fanciulle giù a zappare.
Non me ne parli, signor mio, è un despota divorato da un'ossessione, si picca di giustapporre le piante del giardino ad ogni suo nuovo umore, e noi poeracci e servi ad assecondarlo ogni mattina, sperando che la notte non abbia dormito male.
E questa notte com'è andata, chiesi di rimando.
Sembra bene, una nobildonna di vattelapesca è entrata nelle stanze del signore ieri sera e non ne è uscita che due ore fa.
Quindi cosa vi ha detto di fare, chiesi ancora.
Quello? Nulla, come sempre dorme, tocca a noi indovinare, interpretare, e guai a noi se sbagliamo il verso, son dolori. Io ho scelto questa camelia, è pronta per fiorire, ha i bocci a fior di pelle, promesse di bellezza.
Non son molto d'accordo sulla scelta, dissi, la cosa è bell'e andata, la promessa mantenuta e i bocci già gustati, ci vuole una pianta che abbia il sapor del dopo, velata di un languore lievemente triste ma consolato, che so, un'abelia, no, una bignonia, sì, un rampicante che scivoli piano in mezzo alle altre foglie, che lasci mescolare la sua linfa all'altre piante, però che non le soffochi d'amore egoista, che sappia liberarle esaltandone il contrasto.
La ragazza tacque un attimo e tolse la cuffia, mi guardò seria e disse, se trovo altri come lei mi cambio il ruolo, faccio la sua parte e lei la mia, dove la trovo codesta bign..che? Le ho chiesto una mano non un trattato di botanica.
Mi scusi, dissi, io parlo troppo, non volevo....
Ma no, non sia sciocco, le sto facendo un complimento. Vediamo, continuò pensosa, devo portare il pubblico sul mio personaggio, senza permettergli di distrarsi con le piante e il giardinaggio.
Sarà difficile con quella premessa sul padrone e i suoi ghiribizzi, le feci notare. Ignori il padrone, continuai, si goda la vita, lei è figlia di un giardiniere non "il giardiniere", se ne può fregare altamente e gettar scompiglio nell'ordine e nel mestiere.
Buona idea, sorrise, altrimenti ci si annoia, potrei aggiungere che del padrone me ne infischio, è della notte mia che voglio raccontare.
Deglutii geloso, cercando di distogliere il mio sguardo dai suoi occhi scintillanti, dal suo sorriso solare e dalla pelle di porcellana. Che notte vuole inventare, chiesi prudente.
Quella di sempre, quella ch'è nei sogni d'ogni ragazza, propose come naturale ovvietà. L'universale, risposi ridendo divertito, ma quella è arte con l'A maiuscola, mi ha appena detto d'esser pivella...
Via, fece infastidita, qui possiamo tentar quel che ci pare, a me non frega niente dell'universale, io so cos'ho sulla mia pelle, e se ce l'ho io ce l'hanno anche gli altri di sicuro.
La sua certezza mi confonde, mormorai, e la sua pelle è giovane, guardi la mia, solo la fortuna di un bel ricordo mi fa comprendere le sue parole.
E lei si lasci trasportare da quello, m'incalzò, lo tenga stretto, lo faccia rinnovare.
Ecco brava, dissi, la presbiopia è utile, nella vicinanza dei corpi anche uno un po' solcato appare liscio. Poi mi ripresi, scusi la battuta, ho capito, lei vuole regalare al mondo la sua felicità.
Si, disse girandosi intorno, senta che profumi, guardi che sfarzo, tutti dovremmo avere l'arte di godere della bellezza, io oggi son felice e vorrei che lo fossero tutti.
Anche chi non ha avuto una notte fortunata?, alzai leggermente le sopracciglia.
Non sia pesante, disse seria, non sotterri tutto con le sue parole, come diceva quello? Ricordati che devi morire... sì buonanotte, io me ne dimentico, non ci penso, anche se lo so non mi par vero, la morte è sempre altrove, magari accanto, ma non qui dentro, non nel mio cuore.
Per questo tutti ci vorrebbero venire, dissi ridendo di gusto, fortunato il suo ragazzo, quella è la pianta da trovare e coltivare, dubito che me ne venga in mente una adatta, comunque ci penserò e l'andrò a cercare e domattina la troverà lì in quello scavo che ha fatto di buon'ora nel giardino.
Ma lei chi è per poterlo fare, chiese.
Il suo umile giardiniere, risposi.
Il mattino seguente uno splendido ceanoto preparava i suoi fiori azzurri, ma la ragazza non tornò a vederlo, dormiva già in un altro giardino.

martedì 4 ottobre 2011

Clop, clot, clap, tac



Introduzione al riciclaggio

Una volta scrivevo piccoli raccontini, fu solo un breve e particolare periodo. Non avevo pretese di originalità nè di maestria nello scrivere, scrivevo solo perchè mi piaceva inventarmi storielle, bislacche o legate ad una cronaca invisibile. Le ho rilette di recente e qualcuna vorrei "salvarla" mettendola in questo blog, perchè quello in cui erano pubblicate è chiuso. Forse è un po' come portarmi dietro alcuni mobili per un trasloco, quelli a cui tengo di più. Forse a qualcuno piaceranno forse a qualcuno no. Chissà se ciò che scriviamo somiglia al nostro volto, per cui ci sono volti che ci piacciono ed altri no.
Ma non è il principio del piacere che mi interessa, altrimenti sarei grasso e gravido di colesterolo.


Clop, clot, clap, tac

La luce grigia di gennaio si era messa d'accordo col freddo umido ed insieme al suono di un'antifurto in lontananza addobbavano la rotonda spartitraffico. Le auto frusciavano sotto la pioggerellina, polverizzandola in scie d'argento e piombo. Il traffico intorno alla rotonda sembrava una giostra metallica dal suono nauseante. Ma io feci sparire tutto in un sol colpo.
Mi concentrai a tal punto da udire lo scalpiccio degli zoccoli di un cavallino che tirava un calesse lungo la strada fangosa. Clop clop, clop clop. Una figura gentile teneva le redini con lo sguardo perso sulla strada, occhi di un giallo verde illuminavano coi propri pensieri il crepuscolo piovigginoso. Da una mantella viola con cappuccio bordato di oro rosso comparve una mano affusolata che lanciò una moneta quando mi passò davanti. Io la presi al volo, seguendo l'arco delle sue giravolte che venivano a chiudersi fra le mie dita, come un arcobaleno. L'ho presa, dissi a me soddisfatto, è d'oro. Poi rimisi il ferro perduto dal cavallino. La donna sorrise grata sotto al cappuccio e svanì oltre, nel ritmo degli zoccoli, clop clop, clop clop. Clop clop, clop clop, lentamente il suono sordo di uno pneumatico afflosciato si affiancò al marciapiede. Un'auto rimase immobile mentre le altre infastidite la scansavano maledicendola. Che classe, che stile in quella giostra che ora aveva un cavallino sganciato. Ne scese una donna dal volto affranto e stanco, aprì un ombrellino viola bordato d'oro rosso e mi guardò silenziosa, poi guardò la ruota afflosciata, poi il cielo ormai scuro, poi di nuovo me e di nuovo la ruota. Alla fine guardò solo me. Non avevo ombrello ed ero completamente bagnato, lei mi offrì riparo sotto quella cupola in miniatura, giusto lo spazio per due teste molto vicine. Mi decisi a cambiarle la ruota e alla fine ero ancora più bagnato e pure sporco. Tornai sotto la piccola cupola che non aveva smesso di tentare inutilmente di proteggermi ed incontrai due occhi giallo verde, dolci e amorosamente stanchi. La donna mise fra le mie dita una banconota da cinquanta euro e mi ringraziò. Io la guardai rientrare dentro la giostra e scomparire col fruscio delle ruote bagnate. L'ho presa, dissi a me soddisfatto, e seguii la banconota che volò verso il bar più vicino. Entrò svolazzando a mo' di farfalla, ma la pioggia aveva appesantito le sue ali e si posò sul bancone guardando il barista, che svogliato versò un bicchiere di vino. Poi lui la rigirò tra le dita osservandola in controluce e disse: è falsa. Mi tolse il bicchiere dalla mano e mi cacciò dal locale.
Chissà se era falsa per davvero.
Clot clot, clot clot, il suono buffo degli zoccoli calzati da una ragazzina mi rimise il buon umore. Zoccoli d'inverno! Era evidente la felicità nella sua andatura inconsapevole, nei suoi occhietti sorridenti, nei piccoli passi dalla cadenza ritmica. Quel suono fece tacere tutto il resto: attenti signore e signori, passa la gioia di vivere. La giostra metallica perse la sua anaffettiva ripetitività, frantumandosi in uno sfondo grigio su cui si stagliavano i colori della ragazza. Il cielo si aprì donando le sue prime stelle, insieme ad una luna sorridente. Non potei resistere dal battere le mani per la felicità che quella ragazza mi regalava, col suo semplice gioco di passaggio, clap clap, clap clap....e lei clot clot, clot clot, ed io clap clap, e lei clot clot. Ci divertimmo un sacco in quel concertino improvvisato, poi lei sparì dietro la curva ed io continuai a battere le mani seguendola nella mia immaginazione, clap clap, clap clap e la notte si fece brillante di fari nella giostra metallica. Tac tac, tac tac ed una donna molto truccata, scesa da un macchinone nero, si avvicinò ai margini della giostra. Alcuni cavallini impazzirono nel vederla e le andarono incontro, finchè uno non la fece montare su, e via nella giostra luminosa. Dopo un po' rieccola, tac tac, tac tac, la vedo che si dà un po' di rossetto e si aggiusta i capelli guardandosi nel piccolo specchio rotondo. Mi viene incontro, mi guarda, sorride e mi regala cinquanta euro. Allargo le braccia come a dirle che non so cosa fare per meritarli, lei mi carezza la testa e dice: oggi sono fortunata, perchè almeno troverò te ad aspettarmi. E montò su un altro cavallino, e via un altro giro di giostra, molte volte. Io attendevo il suo ritorno, ligio al mio impegno di farmi ritrovare lì. Poi anche lei se ne andò, era quasi l'alba, e la giostra non aveva più cavallini. Mi addormentai in mezzo alla rotonda, in attesa del nuovo giorno, chè i primi cavallini arrivano presto, alla spicciolata e sono assonnati, sbuffano. Ma non mi svegliai in tempo per vedere un grosso cavallone che montava sulla rotonda, il cavaliere era un po' ubriaco e mi schiacciò, poraccio, mica poteva vedere che dormivo nell'erba. Otto coppie di ruote, che peccato, non posso più scrivere che suono avevano, doveva essere interessante.

domenica 2 ottobre 2011

Pensierini all'alba (ma se tornavo a letto era meglio)



Alle sei e quarantasei il gigantesco pino spalmava sull'alba il suo nero profilo, mentre un aereo disegnava la sua sottile scia bianca sulla lavagna blu cobalto.
In quel preciso istante gli occhi videro l'idea della linea.
Non era un'idea innata, non esistono idee innate, sono un inganno del pensiero. Ma ci sono idee che nascono insieme a noi.
Si avvicinò ad osservare  i sottili aghi di pino, lunghi, lisci ed appuntiti, intanto la striscia vaporosa dell'aereo s'era ormai sfrangiata.
Eppure entrambe, così diverse, potevano definirsi linee.
Poi iniziò a leggere e scrivere e vide quale prodigio scaturiva da quelle linee spezzettate. Si domandò chi fosse stato ad inventare la scrittura, al di là di tutto ci doveva essere stata un'idea-immagine.
Qualcuno, scarso e frettoloso, aveva detto che ci sono idee innate, ma così facendo aveva inventato Dio.
Le idee non sono come il fegato o il cervello, che si formano prima della nostra nascita, le idee vengono dopo, perchè sono il nostro pensiero. La nostra capacità di immaginare e pensare non può esistere senza lo stimolo luminoso sulla retina.
Prima della nascita non esiste nessuno stimolo luminoso.
Mettere un pensiero prima della nascita è annullamento della nascita.
Se si annulla la nascita si crea Dio e non si è più in grado di pensare umanamente ma solo razionalmente.
E fu così che si rese conto che il fondamento dell'identità umana è nella capacità di immaginare e non nella ratio. Ci aveva messo molto tempo per comprenderlo, glielo avevano dovuto spiegare e rispiegare, ma soltanto quando lo intuì, in quell'alba di cobalto, si rese conto che quell'idea era una scoperta gigantesca, nonostante la sua "semplicità". Un'idea che si affacciava come un assolutamente nuovo nella storia del pensiero.
Farla sparire o negarla sarebbe stato un crimine.
Adesso si trattava di lottare per liberare il pensiero.
Ma la difficoltà più grande era quella di smantellare un pensiero vecchio di migliaia di anni, con migliaia di nodi e intrecci in una matassa storicamente intricata. Primo fra tutti quello di rispondere al pensiero religioso che dubita di tutto ciò che è umano e che chiama follia ogni idea diversa dal contesto razional-positivistico.
Il pensiero non si vede, è immateriale e tutto ciò che non è materiale non è umano ma divino.
Forse è per quello che dissero "fiat lux", la luce non è materia.
Ed infatti è la luce a stimolare ed attivare il nostro cervello attraverso la retina.
La luce però non è Dio, ma la storia di Prometeo sembra non avere fine.
Quanto dovremo ancora lottare contro gli dei inventati dagli uomini per essere finalmente esseri umani?