domenica 29 gennaio 2012

In Cina lo chiamano il coccodrillo



Prima di tutto alcune informazioni...


"Sì ho una politica estera: il mio obiettivo è divenire la coscienza del Mondo." (George Soros in Dan Seligman, " Life and Times of a Messianic Billionaire ", commentaires, avril 2002.) 


"Soros ha dichiarato che considerava la sua filantropia come morale e i suoi affari di gestione del denaro come amorale." (Andrew Leonard. " The Man Who Bought the World ", 28 febbraio 2002, Salon.com.) 


Sono stralci di un articolo di Heather Cottin, che consiglio vivamente di leggere anche se lungo, dato che lo ritengo illuminante sul concetto di schizofrenia nel sano di mente: da un lato il filantropo e dall'altro lo spietato speculatore che non si preoccupa minimamente delle conseguenze del suo agire su intere popolazioni. Volendo fare una battuta direi che questo ci prende solennemente per il culo.
Aggiungo solo un'ultima strategia di questo signore, che risale all'anno scorso e nell'articolo non poteva esserci, in cui intendeva acquistare, consigliandolo anche agli altri speculatori (per avere così l'effetto di crescita esponenziale dei prezzi), la maggior parte dei terreni disponibili nel mondo poichè "sapeva" che i generi alimentari di prima necessità avrebbero incrementato il loro valore del due-trecento per cento nei prossimi due anni e di un altro duecento per cento nei due anni successivi.(Mi pare ovvio che il suo "sapere" è un "volere", poichè se una enorme massa di denaro si riversa su un settore i prezzi volano alle stelle!)
Questo signore appartiene alla "sinistra" americana, per intendersi è uno dei sostenitori di Obama.
Ecco, dopo il post sul giorno della memoria, mi sembra opportuno riflettere su questi benefattori dell'umanità. Attenzione, non mi interessano affatto le sue origini ebraiche, nè la farsa che lo vede oppositore delle lobbies ebraiche americane (lui è davvero un coccodrillo seguace di Popper), mi interessa la gelida e indifferente accettazione di una pratica speculativa che contrasta col suo presunto filantropismo che, a ben guardare, è solo strumentale ai suoi enormi interessi economici.

venerdì 27 gennaio 2012

Quale memoria???



Molti media ci ricordano che questo è il "giorno della memoria" e queste parole, scritte così, mi fanno pensare che non c'è, di fatto, niente che si proponga di andare veramente oltre il senso di colpa diffuso che questa memoria genera. Un senso di colpa universale, che sembra perenne, al quale mi ribello perchè vedo che gli stessi abomini continuano ad essere perpetrati in varie parti del mondo, come se nessuna memoria fosse servita. Mi ribello perchè solo pochissimi si sono cimentati ad affrontare il problema alla radice.
E di quale radice posso mai parlare se non di quella della pazzia più nera?
Non ho ancora letto nessuno, eccetto uno solo, che abbia affrontato la pazzia e ne abbia scoperto l'origine. Tutti continuano a considerare la pazzia come connaturata all'essere umano (cristiani in testa), molti si sono prodigati a prendersi cura dei matti, ma sappiamo bene che una cosa è prendersi cura ed un'altra è curare.
Nell'immaginario collettivo, forse, il matto è visto come un poveretto che non ha nessuna possibilità di farcela in questo mondo spietato. Ma accanto a questa condivisibile e pietosa visione c'è anche quella del terrore che il malato di mente incute, perchè il pazzo può essere innocuo ma può anche distruggere imprevedibilmente, senza motivo. Ci sarebbe poi da domandarsi se esiste mai un motivo per distruggere.
La storia ci insegna che la psichiatria si è occupata dei segni più manifesti della malattia mentale, limitandosi il più delle volte a "normalizzare" il mero comportamento, prima con la contenzione e poi con gli psicofarmaci (che sono la stessa cosa).
Procedendo nella ricerca qualcuno iniziò a comprendere che spesso non è il comportamento manifesto ad essere "strano", cominciando così ad occuparsi del pensiero, soprattutto quello latente, invisibile, inconscio. (Prego i miei pochi lettori, casomai lo facessero, di non associare la parola inconscio alla psicoanalisi ed ai suoi falsi maestri, la psicoanalisi è un inganno storico da cui stiamo uscendo per poter fare finalmente ricerca sulle dimensioni non coscienti.)
Dire che il pensiero nazista era pazzo però non basta, perché se non scopro e dico il perchè di quella pazzia lascerò quella pazzia ancora libera di agire, come di fatto accade.
Definire la pazzia come assenza di razionalità è l'errore in cui molta umanità è caduta fin da tempi remoti, perché di fatto i nazisti erano razionalissimi e chi si iscriveva al partito era sicuro di seguire la punta di diamante del pensiero moderno.
Ma avevano un pensiero paragonabile alla peste, infetto e contagioso (cazzo, se penso a quanti voti ha preso la lega...).
La peste va diagnosticata e debellata, ma fintanto si hanno idee confuse sul concetto di sanità e sull'identità umana si riterrà la peste un flagello divino o una malattia incurabile e inevitabile. Se continueremo a pensare che la pazzia è "naturalmente" nascosta in ognuno di noi le lasceremo la porta socchiusa e ogni qualvolta ci troveremo di fronte a crimini efferati penseremo soltanto che qualcuno "ha perduto il senno" o che è "cattivo". Come se fosse la ragione a dover controllare il mostro nascosto in ognuno di noi.
Ma quando a perdere il senno sono milioni di persone la cosa assume l'aspetto della più allucinante normalità.
E quindi la domanda micidiale: cosa fa ammalare il pensiero delle persone e dei popoli?
Mi pare ovvio che l'approccio organicista alla malattia mentale naufraghi vergognosamente di fronte a questa domanda.
Ma trattandosi di malattia (e non di libertà di pensiero) non possiamo certo lasciarla nelle mani dei filosofi, il nazismo di Heidegger è un chiaro monito.
Occorre quindi una metodologia di pensiero che si liberi dai retaggi culturali ed affronti il problema dal punto di vista medico, superando però l'ottuso positivismo ottocentesco.
Cazzo, mica facile, ci vuole un'idea geniale, altrimenti si rischia di ghettizzare ogni pensiero "diverso" oppure, al contrario, di accettare anche la pazzia chiamandola diversità.
E cosa vuol dire diverso? Quale base comune e condivisibile dobbiamo trovare per poi poter parlare finalmente di libertà di pensiero e di movimento?

mercoledì 25 gennaio 2012

tessere il tempo



Si coglie una nostalgia nel giardino della memoria, o quando cade da un pensiero; e subito essa ci stringe il cuore.
(Armando Antunes Da Silva, L'uomo che amava i temporali)

lunedì 23 gennaio 2012

S. Martino campanaro



Non sono mai riuscito a diventare un erudito, c'è in me un'ostinata superficialità da "spalla tonda" ed un'insofferenza che mi impediscono di approfondire le tecniche e le poetiche. Sono anche terribilmente presuntuoso perchè conscio dei miei enormi limiti.
Invidio chi sa suonare bene uno strumento, ma invidio ancora di più chi è capace di essere artista con pochissime note, poichè è la composizione la forma d'arte che ho perseguito fin dagli inizi e posso finalmente dire che, dopo annosi tormenti, mi sono finalmente liberato dal complesso di competitività-rivalità con i compositori più bravi o meno bravi di me. Intendiamoci, non voglio far passare il trito e banale pensiero che non tutti si può essere Mozart, no, ne voglio sdoganare uno ancora più banale, ossia che ognuno ha il diritto-dovere di essere quello che è e di migliorarsi. Quest'ultima parola, dal mio punto di vista, non è necessariamente legata alla tecnica, lo dico per spiegare meglio quel che intendevo sopra quando ho detto che invidio chi è capace di essere artista con pochissime note. 
Penso che un'idea musicale sia simile ad un'immagine ed occupi un brevissimo lasso di tempo e che tutto il tempo che ci si mette in più sia la meravigliosa spiegazione di quell'idea, spiegazione obbligatoria dal momento che la forma (e la prigione) della musica è il tempo.
Mi spiego (ecco, appunto).
Prendiamo l'incipit del concerto per violino ed orchestra di Beethoven (visto che l'ho citato due post addietro), inizia con quattro colpi di timpano e poi il tema, che inizia in battere sul quinto colpo. Sono sicuro che chiunque (musicalmente sensibile) riascolti quei primi quattro colpi di timpano non possa poi far altro che immaginare l'arrivo del tema e soltanto di "quel" tema.
Beethoven ha inchiodato per l'eternità quei quattro colpi di timpano al suo concerto per violino!
Se li facessi diventare trentadue non cambierebbe niente, starei sempre lì ad aspettare il tema, anzi, lo starei già cantando mentalmente dopo i primi quattro colpi, con l'unica differenza che m'incazzerei con gli altri ventotto perchè non c'entrano niente e m'infastidiscono. Di più, ma già al secondo colpo, se non addirittura al primo, la mia mente avrebbe già capito di cosa si tratta aspettandosi quindi il resto. E' una sorta di imprinting! E chiunque, dopo Ludwig, provi ad usare i timpani in quel modo lo potrà fare sapendo che verranno presi come una citazione colta e devota o come una miserabile e ridicola scopiazzatura.
Beethoven fanculo, sei tremendo!
Sia chiaro che questo sproloquio sui timpani di Beethoven è solo un cazzeggio per sfottere personaggi come Baricco che riempiono raffinatamente dei rotoloni Regina, non solo di cellulosa ma anche di celluloide, prendendo in prestito l'indefinitezza della musica ed usandola, letterariamente o cinematograficamente, a scopo di lucro, proprio come fanno gli astrologi con i luoghi comuni sulle debolezze umane. Tutto sembra tornare, ma non c'entra una beata mazza con la musica.
E adesso concludo il mio sproloquio tentando di chiuderlo come un canone circolare, vediamo se ci riesco perchè all'inizio non ci avevo pensato e se ben ricordo devo averci già scritto anche un post.
Il più bel canone circolare della storia della letteratura è Le intermittenze della morte di J. Saramago. In musica il più famoso è sicuramente S. Martino campanaro, che pare una sciocchezza ma Mahler lo riprese in una sinfonia (terzo movimento della prima) portandolo a un livello di grottezza stratosferico. Un altro canone circolare famosissimo è quello di Pachelbel.
Sì, ma ancora non so dove cazzo sto andando e per chiudere un canone circolare occorrono concentrazione e conoscenza del mestiere. Ma io non sono mai riuscito a diventare un erudito, c'è in me un'ostinata superficialità da "spalla tonda"...

sabato 21 gennaio 2012

Il mondo è piccino



Mi posso anche concedere un post atipico, che cavolo, tanto i miei post sono tutti scritti a cazzo di cane.
Dunque, sto leggendo appassionatamente il libro di un amico di blog. Non ci penso nemmeno a recensirlo, perchè non ne sono capace ed inoltre ho rispetto del lavoro altrui, e poi i libri vanno letti direttamente, non con gli occhi di un altro. Posso dire che, pur essendo un genere letterario da me poco frequentato, il racconto ha per me un fascino molto particolare, perchè è intriso di un'ironia spietata e divertente, ma pagina dopo pagina ti fa montare addosso una certa angoscia da tunnel infinito. Trattasi infatti di una sorta di Calvario editoriale perfettamente compiuto anche nelle sue "stazioni" (già...e mai l'editore andava ad attenderlo alla stazione di Ancona!).
La cosa sorprendente, che sicuramente ha il suo peso nel mio modo di leggere il racconto, è che penso di avere personalmente conosciuto uno dei personaggi: L'Ayatollah. Io sulle prime pensavo che fossero nomi di fantasia, ma poi ho googlato ed eccoli là, sono di carne ed ossa.
Era il lontano 1981, o forse '82, ed io avevo una fidanzata ad Ancona (bona come il Sole). Lei studiava a Firenze ma ogni tanto, d'estate soprattutto, se ne tornava al suo paesello (che non s'incazzino gli anconetani) ed io andavo in moto a trovarla. Uno dei suoi amici più stretti era un neo editore, non ne farò qui il nome ma chi conosce la situazione editoriale anconetana di quei tempi non faticherà molto a capire chi era. Un ragazzotto buffo, piccolino e tondino, che mascherava la sua timidezza dietro ad una saccente competenza letteraria (il difetto di ogni insicuro). Lo frequentai un po' e fu anche mio ospite quando veniva a Firenze. Nel giro di questi amici c'era anche (se non mi sbaglio) il suddetto Ayatollah, un tipo allucinante. Ricordo solo un aneddoto: eravamo in un localaccio del cazzo ad Ancona, gremito di sedicenti intellettuali e scalmanati di vario genere, quando una piccola e timidissima cameriera urtò inavvertitamente il gomito dell'Ayatollah facendogli versare alcune gocce di nonsoquale liquore su un cappotto lurido e sdrucito. L'Ayatollah s'incazzò come una biscia e, strillando come un ossesso, intimò alla poraccia di risarcirgli i danni, anzi, chiese addirittura se avevano una buona assicurazione. Nemmeno gli avessero imbrattato di pece un cappotto di Alpaca foderato col pelo di Uma Thurman! Io arrossii e dissi alla mia compagna che con quei nevrotici violenti, frustrati e segaioli non mi ci trovavo granchè bene. Oltretutto erano sottomessi culturalmente a delle icone stantie e naziste (tipo Heidegger per intendersi), le dissi anche che se quello era il livello degli intellettuali locali avrei preferito bazzicare il porto, anche se il porto di Ancona non esisteva socialmente parlando (forse lo dissi proprio per quello...). Lei mi rassicurò dicendo che quello era solo un cretino, ma come ogni cretino aveva il suo codazzo di imbecilli. Ad ogni modo, visto che mi voleva molto bene, fece in modo che non me lo ritrovassi mai più fra i piedi.
Fine dell'aneddoto.
Il racconto per ora mi è volato sotto gli occhi, raramente mi capita di leggere un centinaio di pagine tutte di fila, sarà per i motivi che ho raccontato. Ancora non l'ho finito ma ci vorrà poco.
Come ringraziamento personale all'autore riporto alcune righe che mi sono piaciute, sono così tonalmente diverse dal tenore generale da apparire ingenue. Mi hanno fatto pensare che il nostro scrittore, in quell'ambiente, doveva sentirsi come un passerotto in un tiro a segno.
"Dal finestrino si vedeva il mare luccicoso, e persone solitarie passeggiare lungo le spiagge dietro i collari di spuma della risacca. Mi lasciai consolare da quella presenza di luce alla fine del tunnel, mi ci abbandonai con tutto il mio essere, consapevole che in realtà si trattava soltanto della fugace interruzione tra due nere gallerie."

venerdì 20 gennaio 2012

diatribe d'altri tempi (?)



Brahms era fottutamente invidioso di chiunque fosse in grado di scrivere una sinfonia. A lui non riusciva, ne ha scritte quattro ed ovunque si sente l'enorme complesso d'inferiorità che aveva nei confronti di Beethoven. Non era capace di separarsi da quel padre, e per questo odiava la libertà di chi si azzardava a scrivere sinfonie fuori dai binari formali che lui riteneva inviolabili (non c'è peggior prigione di quella che ci costruiamo da soli). Faceva battute al vetriolo nei confronti dei giovani musicisti che gli sottoponevano i loro lavori, come quando a un trepidante Bruch disse: "Ma da che cartolaio compri questa bella carta da musica?", mentre a Rott consigliò di andare a quel paese e di cambiare mestiere perché la musica non faceva per lui.
Insomma era davvero tremendo, anche se nell'ambito della musica da camera è stato un vero gigante. Però la mia maestra, che ragionava con i sensi buona donna, mi diceva che tutta la musica di Brahms è pervasa dall'impotenza, è piena di slanci e di tensioni ma non ti portano mai all'orgasmo. Cosa intendeva per orgasmo in musica? Beh, provate ad ascoltare il famosissimo preludio della prima suite per violoncello di Bach... Troppo breve? Vabbè, era per capirsi, a volte basta anche una sveltina, sennò ascoltate il primo movimento del concerto per violino e orchestra di Beethoven. Troppo celebre e celebrato? Qualcosa di meno conosciuto? Tanto per avere orgasmi nuovi? Ora vi frego io, mettete sù la musica per archi celesta e percussioni di Bartok, se riuscite a lasciarvi andare a quelle sonorità avrete un'orgasmo intelligentissimo! Esagero? Ognuno l'orgasmo ce l'ha come e con chi vuole? Certo, c'è anche l'autoerotismo, è facile, piacevole, economico, ma si conosce meno gente... 


Ruhevoll, fatti i cavolacci tuoi!!!


Ma via, stavo scherzando uffa.


Tornando ai tempi di Brahms, c'era un omino schivo e modesto che si chiamava Anton Bruckner, 
suonava benissimo l'organo e scriveva sinfonie meravigliose, ma lontane dal formalismo classico. Fu per questo che nacque una querelle, via chiamiamola diatriba che è meglio, fra due scuole di pensiero contrapposte che usarono Brahms come difensore dell'accademismo e Bruckner (suo malgrado) come paladino di una nuova musica. Ai due diretti interessati forse non gliene fregava granchè l'uno dell'altro ma nel gran polverone sollevato dall'odioso e fanatico musicologo Hanslick (Basta leggere il suo libercolo "il bello musicale"), fu Bruckner forse, lì per lì, ad avere la peggio. Era troppo modesto e poco combattivo, si limitò a comporre la sua musica lasciando che gli scontri passassero sopra la sua testa china sul leggio. Le sue composizioni furono praticamente ignorate fino all'età di sessant'anni, poi parallelamente al suo declino fisico e mentale crebbero la sua fama e la sua popolarità. Per fortuna Mahler amò i "pitoni sinfonici" composti da Bruckner, e nelle sue superbe e meravigliose sinfonie ci fa ritrovare una qualche memoria del piccolo grande organista.
Ma, dico io, se non ci fossero i critici narcisisti e gli opinionisti a vanvera, che mai hanno composto niente di musicalmente rilevante, non si vivrebbe meglio?


Cretino, basta non starli a sentire!





sabato 14 gennaio 2012

Di gattine, di cinciarelle e filosofie di vita.



Non Principessa, Vanessa, Cleopatra o vattelapesca quale altisonante nome, no.
Un'amica la chiamò Mota, perchè quando arrivò era piccola, nera e sporca di fango e da noi il fango si chiama mota, con la t strascicata alla toscana, quasi un th inglese (ma sanno una sega gl'inglesi).
Mostrò subito una vitalità notevole e un'instancabile curiosità: s'infilava dappertutto. Fu parcheggiata a tempo indeterminato, insieme a suo fratello, presso la mia vicina, che già ne aveva uno di gatti. E poi c'è anche "la vicina più lontana" (sta cinquanta metri più in là) che di gatti ne ha addirittura tre, e se si aggiungono i visitatori occasionali, ossia quelli che vengono a socializzare dalle case dei dintorni, qui ormai siamo in un gattile. La sera il mio giardino diventa un interessante luogo d'incontri per felini, quasi quasi gli metto un tavolino per il tè e qualche libro, sto anche valutando l'idea di un corso informativo sull'uso degli anticoncezionali, perché sennò qui si rischia la sovrapopolazione. Hai visto mai che, portandoli alla libertà sessuale invece che alla schiavitù dell'istinto procreativo, i gatti diventino creativi?
Mota sarebbe sicuramente una poetessa, glielo leggo negli occhi.


Adesso si sta facendo una signorina e già vedo lo sguardo concupiscente di un gattone che ha la testa grossa come un cocomero e che secondo me spadroneggia un po' troppo nella zona. Quando mi incontra si ferma e mi osserva titubante con i suoi occhioni tondi e ottusi ed io lo provoco:
Ceppicone, per farti  i' cappello ci vuole un ombrellone!
Ceppicone fa finta di non capire e lentamente, quatto quatto, cerca di attraversare il muretto per andare da Mota, ben sapendo che se s'azzarda a romperle i coglioni gli ringhio (beh è cretino, non capisce altro) e se insiste lo minaccio di fargli la ceretta (ma pare che sappia che le mie son solo parole).
Insomma il fidanzato di Mota dovrà avere la mia approvazione e Ceppicone è troppo scemo e bullo, le darebbe figli stupidi, mentre invece c'è un tipetto vispo e tigrato che, secondo me, sarebbe un compagno perfetto per Mota, tant'è che piace anche a lei. Ma Ceppicone, grosso, prepotente e invidioso, lo tiene alla larga. La natura è scema, questo sia chiaro una volta per tutte, predilige i prepotenti perchè, poraccia, si preoccupa solo dei muscoli e della buona salute, non esiste possibilità dialettica con la natura.
Gli esseri umani che pensano ancora di essere degli animali rendono infatti l'evoluzione della nostra specie oltremodo lenta e irta di complicazioni culturali. Per fortuna alcune donne (quelle più intelligenti) hanno fatto una selezione della specie in base alle qualità psichiche dei maschietti, regalandoci qualche genio come Mozart, Copernico, Shakespeare, Caravaggio, Pinel (ognuno metta quelli che vuole). Ma la strada è lunga prima di riuscire ad affrancarsi dalla lotta per la sopravvivenza, perchè il problema non è la natura o gli animali, il problema sono quegli esseri umani che non hanno raggiunto la consapevolezza di esserlo e schiavizzano i loro simili invocando una falsa legge di natura che sostituisce il denaro e la potenza economica ai muscoli, l'avida furbizia e l'accaparramento all'intelligenza e alla condivisione. Con la stupidità di sostenere che gli esseri umani hanno gli istinti! Che panzana storica! Una menzogna che fa comodo ai delinquenti.
Ad ogni modo per Mota ancora è presto, se ne parlerà a primavera. Il buffo è che nell'attesa il fratello tenta ripetutamente l'incesto, senza ancora sapere esattamente cosa lo attira. Lo vedete qui che annusa le zone più interessanti di Mota, 


che però non se lo fila manco di striscio, anzi lo tratta come un deficiente, lei ha classe, ed è lei che ha il miele sotto la coda e lo gestisce come le pare, beh non proprio, diciamo come pare alla sua natura.
Noi che natura abbiamo? Riusciremo a prendere atto della nostra identità? O continueremo a pensare di avere l'istinto animale limitandoci ad osservare che abbiamo un fegato come quello di un babbuino? Limitandoci a osservare solo la massa cerebrale e ricavarne conclusioni quantitative e non qualitative?
I vegani ad esempio si oppongono allo specismo, introducendo una sorta di codice dei diritti degli animali che va ben oltre la dieta vegetariana. Forse così pensano di eliminare il concetto di superiorità dell'essere umano sulle altre specie, io preferisco parlare di diversità. Trovo più che giusto non far soffrire nessun animale, e ritengo la dieta vegetariana molto sana e raccomandabile, intelligente direi, ma quando vedo che i vegani si oppongono anche all'uso del miele e del latte o al consumo di molluschi fino alle forme più primordiali di vita, allora mi sorge il dubbio (con tutto il rispetto) che il loro sia un integralismo un po' fanatico, nel senso di perdita del rapporto con la realtà per entrare in un'ideologia astratta e quasi mistica. Una forma di rifiuto, quello vegano, che mi appare impostato sulla negazione di quella stessa natura che vorrebbero difendere. Perché se noi dobbiamo rispettare gli animali e difendere i loro diritti (diritti che però abbiamo pensato noi) chi spiegherà ad un pettirosso che non deve mangiare il povero lombrico?
Che buffo, proprio mentre scrivo le mie scemenze giuro che si è posata sul muretto una cinciarella, adesso le parlerò dei suoi diritti e di quelli del lombrico!
Cinciarella: Da' retta S.Francesco, te pensa a non rompere i coglioni che ai lombrichi ci penso io.
Ruhevoll: Ho capito, vuoi dirmi che la natura va lasciata stare com'è!
Cincia: Certo, ma voglio anche dirti di non tirarti troppe seghe sulla tua presunta superiorità.
Ruhe: Io infatti cercavo di parlare di diversità, la natura meno la si tocca e meglio è.
Cincia: Ecco bravo, lo vedi che la natura ha fatto bene a combinare i cromosomi in modo tale da far sorgere il pensiero in quella scimmia che eri?
Ruhe: Già, ed infatti non sono più una scimmia, ho l'opponente del pollice e l'angolo del foro occipitale col suolo terrestre mi consente la stazione eretta.
Cincia: Sciocchezze, quella è roba che è venuta fuori dopo, perché "prima" hai avuto un'immagine-fantasia e "poi" lentamente si è trasformato anche il tuo corpo. Noi mica ce l'abbiamo la fantasia, manco ci riconosciamo allo specchio nonostante i soliti ricercatori americani ci abbiano provato migliaia e migliaia di volte a farci sbattere il muso contro.
Ruhe: Mamma mia, le spari grosse cincia, come puoi dimostrare una cosa simile?
Cincia: La deduco, dal fatto che tu non hai più l'istinto che ti guida ma hai quello che chiami libero arbitrio (termine utile per capirsi ma sarebbe più corretto parlare di pulsione). Tu puoi scegliere di non bere, anche a costo di morire, io no, non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello!
Ruhe: Allora vedi che i vegani esagerano? Vedi che hanno un atteggiamento normativo da primi della classe? Vedi che vogliono essere buoni stabilendo loro cosa sia la bontà? 
Cincia: Che c'entra? Loro in realtà cercano una strada per non opporsi alle leggi di natura perchè, in quanto esseri umani, ne sono succubi e dominatori al tempo stesso. Giustamente vogliono poter scegliere. E questo è il dilemma che li arrovella, per cui tentano di risolverlo in qualche modo, forse girando un po' su se stessi, ossia dicendo che gli animali hanno dei diritti, ben sapendo che quei diritti sono frutto del pensiero umano e non di quello degli animali, che non avendo la forma di pensiero degli umani vivono condizionati dall'istinto.
Ruhe: Che groviglio cincia mia! Io sono incuriosito dai vegani e condivido un sacco di cose con loro, ma ho qualche riserva. Ad esempio ho sentito che difendono ogni forma di vita, la scrivono addirittura con la  v maiuscola, Vita, e mi stavo domandando se in quella vita includessero anche quella del feto e, in tal caso e come logica conseguenza, non fossero per caso antiabortisti. E poi, come dicevo prima, come mai due pesi e due misure? Perchè se io mi mangio una trota alla mugnaia sono cattivo e se tu mangi un lombrico no? Non parlo degli allevamenti, che anche io abolirei, ma è il principio integralista che mi fa sentire puzza di religiosità, tant'è che li ho sentiti spesso accennare alla spiritualità e tu ben sai che l'unico spirito che riconosco è quello per metterci le ciliegie, poiché quell'altro, proprio perché non esiste, è il mandante di tutte le guerre.
Cincia: Lo so, ma è il groviglio in cui cade il vostro pensiero quando cerca di pensare se stesso per trovare una coerenza impossibile, prova a fargli sbattere un po' le ali, hai visto mai che dall'alto veda qualcosa che prima non vedeva? Ci guadagneremo tutti e voi, soprattutto, evitereste di distruggere il pianeta. 
Ruhe: Proverò, ma spero che quando dici "dall'alto" tu non intenda frescate divine ma solo (solo???) un salto qualitativo. Intanto le ali sbattile tu cincia dolcissima, prima che arrivi Mota, sai... non le ho ancora letto i tuoi diritti!


P.S. Una incredibile coincidenza ha fatto sì che un'amica blogger pubblicasse un post sul veganismo. Lo vedo adesso che sto pubblicando il mio. Nessuna intenzione polemica da parte mia, lo giuro, è davvero una particolarissima coincidenza. D'altra parte conosco la sua intelligenza e sono certo che non me ne vorrà, in fondo questa coincidenza esprime la non omologazione dei nostri pensieri, che io considero una ricchezza.

martedì 10 gennaio 2012

Horn (una memoria dall'acqua)



Sabato scorso stavo cazzeggiando e volevo farlo bene, la professionalità innanzitutto! C'era un bel sole e m'ero seduto sul muretto del ruscello ascoltando il suo chiacchiericcio. Che carino, mi son detto, lo voglio registrare, e detto fatto ho portato fuori l'attrezzatura ed ho calato giù il microfono fino a fargli lambire l'acqua, proprio sopra il punto in cui i sassi la fanno gorgogliare. Poi mi son messo ad ascoltare lasciando che affiorasse quel che voleva affiorare. Ero impegnato nel fancazzismo più spinto e il solicello e la calma circostante hanno fatto sì che emergesse una memoria piuttosto lontana. A dire il vero non sembrava collegarsi all'ascolto di quel gorgoglio, eppure sentivo nella mente poche note, scarne, insistenti, di chi erano?
Oh, lo so bene di chi erano:
Nick Drake.
Ora è opportuno sapere che quelle note non erano di una canzone, ma di un piccolissimo brano fatto, appunto, solo di quelle poche note e nient'altro. Quando lo ascoltai la prima volta, tanti anni fa, pensai che quel ragazzo aveva avuto un coraggio pazzesco ad inserire un brano simile in un LP, non gliene doveva importare niente del successo o dei gusti della gente, se n'era ormai andato per la sua strada.
Libero?
Forse.
Quelle note erano, e sono, quello che definirei un pensiero essenziale, non ermetico nè sintetico, ma semplice e immediato. La musica non è semantica e non è riconducibile ad un pensiero verbale, chi prova a tradurla in parole fa un gran torto alla musica. Al massimo possiamo tentare di dire quello che le note ci fanno venire in mente, ma è roba nostra, la musica dice ben altro.
Con questo sgangherato preambolo potrei lanciarmi a scrivere fiumi di parole su quelle pochissime note musicali, potrei dire, prima di tutto, che nella versione originale parlano di un silenzio assordante e di una solitudine disincantata, e al tempo stesso sono un urlo profondo e dilaniante, simile al famoso quadro di Munch, Horn è il titolo.
Ecco, ho scritto le mie più inutili stupidaggini, non avrei dovuto farlo ma l'ho fatto. E sono stupidaggini perchè sicuramente risentono, mio malgrado, dell'alone immaginifico e iconografico costruito intorno al personaggio Nick Drake, anche se ho la presunzione di esserne immune, io ascolto la sua musica, non quello che ci hanno costruito intorno le case discografiche per farne un santino.
Lasciamo perdere tutto e ricominciamo.
L'acqua del ruscello canticchiava, a me sono venute alla mente quelle poche note di Nick, essendo forse quelle che mi sono rimaste più impresse, perchè erano le più nude, senza parole.
Sono entrato in casa e le ho suonate, senza curarmi troppo di livelli microfonici ed altre tecnologie infernali, suonando a modo mio quelle note di cui avevo una lontana memoria e proprio dalla memoria forse molto trasformate, senza quell'angoscia vibrante che le pervadeva e le caratterizzava perchè non mi appartiene. Le ho sicuramente snaturate, forse tradite, ma non certo per addolcirne l'ascolto, probabilmente per non scimmiottare insulsamente la maestria di Nick, che resta unica, irraggiungibile e irripetibile, ringraziandolo per quello che mi ha dato.

lunedì 2 gennaio 2012

Accidia



Una volta composi un pezzo che intitolai Accidia. Iniziava con una sorta di ostinato in tre quarti, nè lento nè allegro, andante. Le note sinuose e vellutate di un clarinetto contrabbasso lo scandivano aiutate da un leggero riverbero che lasciava stendere l'ombra dell'ultimo suono sul successivo. Prima due morbide note di un ottavo, poi un sedicesimo con acciaccatura e di nuovo un ottavo, quest'ultime ripetute a completare il terzo quarto della battuta. Facile no da capire?
Imbecille, fai poco lo spiritoso e vai avanti!
Quattro misure di quest'andazzo ed entra un violino mesto e svogliato ad intonare una melodia che si dipana per tre battute, alla quarta lascia il clarinetto da solo col suo ostinato che pare una sega malinconica.
Era una musica per un balletto, la scena era semplicissima, una stanza, un letto, una finestra. Fuori s'immagina una pioggerella grigia e fredda. Una donna sdraiata e nuda dondola una gamba penzoloni dal letto al ritmo del clarinetto (cazzo che rima!) Un uomo con indosso solo i pantaloni è appoggiato alla finestra e guarda fuori.
Poi l'uomo si volta ed osserva stancamente la donna, lei osserva lui e si stiracchia. Pare non abbiano voglia di far niente ma invece quel far niente si trasforma lentamente in piccole curiosità, in piccoli movimenti di danza che sembrano domande.
La musica intanto si arricchisce pian piano di altri elementi, non propriamente melodie ma cigolii, piccoli tonfi, sibili che man mano prendono corpo di suono e approfondiscono il senso della musica, sempre sostenuto da quell'ostinato di clarinetto. Aumenteranno sempre di più e la melodia del violino si farà sempre più lacerante, quasi isterica, forse nevrotica, comunque tesa, alla ricerca di ogni anfratto tonale, sempre legata a quell'ostinato, in un continuo tentativo di liberarsene, per riuscire a volare.
I due intanto scopano come ricci ma, essendo uno spettacolo di danza, sta alla loro bravura e a quella del coreografo di sublimare il tutto in immagini poetiche senza scadere nel documentario nè in una melassa alla Zeffirelli (insomma non uno spot da baci Perugina, ci siamo?)
Il tutto poi, ovviamente, ad un certo punto finisce. Già. Ed è proprio lì che nacque l'atroce dilemma del (si fa per dire) compositore:
Come cazzo lo finisco un pezzo così? Come è andata la scopata? Da quale punto di vista la chiudo, da quello di lei o di lui? E dell'ostinato che cazzo me ne faccio adesso? Lo faccio rallentare? No, mai, sarebbe pornografia. Metto uno sfumato ad libitum? Sarebbe più attinente ad libidum!
Cretino, non insistere a fare il simpatico e di' come cazzo ne sei uscito fuori!
Non ne sono uscito, lo ammetto, sono rimasto lì perchè a me la scopata era piaciuta parecchio e lasciavo che i due corpi si separassero molto, molto lentamente. Ma con la musica non ero capace di rappresentarlo senza avvilirmi per la mancanza di idee, per l'incapacità di trasformare l'ostinato in una politonalità evanescente, in una poliritmia che non fosse "gratuitamente" strana, stile e onestà innanzitutto!
Avevo in mente delle parole che lessi tanti anni fa: quel nulla che si ritrova dopo aver scopato con la ragazza. Un nulla che non è un vuoto, non è un'assenza, è un qualcosa che ti arriva piano piano con il ritorno della coscienza, che avevi perduto scopando. Che so, il ricordo delle bollette da pagare, dell'auto in divieto di sosta, banalità di questo genere, che ti fanno capire che la scopata non è il fine del rapporto ma solo un modo per stare insieme. Ecco, potevo metterci il fischio di un viglie urbano col blocchetto già sotto la penna, o più banalmente già con la penna sopra il blocchetto? E come distinguere quel fischio da quello di un arbitro? Due colpetti secchi? E quanto riverbero per definirne la distanza?
Deficiente, piantala!
E vabbè, la pianto.