lunedì 4 giugno 2012
L'arte di ignorare la povertà
"I Pascoli del Cielo" è il libro che rese famoso Steinbeck a livello internazionale. Sono un insieme di racconti ambientati in una terra che porta, appunto, quel nome. Sono tutti bellissimi ma ne ricordo uno che, mentre lo leggevo, mi riempiva di uno struggimento indescrivibile.
E' il VI capitolo, dove parla di Junius Maltby e di suo figlio Robert Louis (in onore di Stevenson) detto Robbie.
Riporto solo un breve stralcio in cui il consiglio scolastico decide di regalare degli abiti nuovi a Robbie, che andava in giro libero, scalzo, con gli abiti laceri e spettinato (come suo padre d'altronde). La maestra si oppone a questo regalo per difendere il ragazzo ma senza risultato, e quindi lui viene invitato ad aprire il pacco.
Subito dopo arrossisce e scappa.
La signora Munroe (che aveva acquistato gli abiti) si rivolse, tutta sconcertata, all'insegnante
"Che gli è successo?"
"Credo che sia rimasto imbarazzato" rispose la signorina Morgan (l'insegnante).
"Ma perchè dovrebbe esser rimasto imbarazzato? Noi siamo stati gentili con lui."
La signorina Morgan cercò di spiegare, e s'irritò un poco nel tentativo.
"Io credo, vedete" disse "ch'egli non sapesse di essere povero, fino a un minuto fa."
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8 commenti:
vabbuò, me lo leggo. (i pascoli del cielo, dico)
Bello, Sandro.
Effettivamente la delicatezza è una conquista, un'arte. Ci vuole sensibilità e un po' di fantasia per accostarsi agli altri con gentilezza.
Straordinario.Adoro Steinbeck dall'adolescenza. Fin da quando con l'autobus della Lazzi ( in realtà erano F.Lli Lazzi) andavo al liceo a Firenze. Steinbeck mi accompagnava nei miei momenti( tanti) di solitudine, Steinbeck mi ha dato il piacere della letteratura e mi ha fatto amare i libri. Ora, dopo aver letto la tua citazione capisco ancora meglio perchè.
Ottima, perfetta rappresentazione della petulante invadenza di certe pie donne, e di quanto controproducente possa a volte essere un certo tipo di "beneficenza"...
quando ero piccola io, per tutti era normale portare i vestiti del fratello più grande, del cugino o degli amici di famiglia di qualche anno più grandi, talmente normale che non c'erano mai imbarazzi.
Io e mia cugina più piccola regolarmente venivamo scambiate per le mie cugine più grandi che erano gemelle e vestivano sempre uguali. Soprattutto fra bimbi e ragazzi che portano un abito due mesi e poi non ci stanno più dentro dovrebbe essere la norma
@Alea, eh sì, secondo me merita.
@Giacynta, verissimo, ed è un'arte rara purtroppo.
@Grazia, dio bono anche io per un breve periodo dovevo andare al liceo con la Lazzi, ma c'era un tale casino che di leggere un c'era versi! Poi mi comprarono il vespino...
@Zio, sì, mi piacerebbe prima o poi scrivere come la penso sulle opere di bene cattocristiane, ad esempio sul fatto implicito che considerano che chi è povero lo è perchè non è in grazia di Dio.
@Amanda, quando la gente non ha più nessuna vera identità, ecco che si aggrappa agli abiti o al denaro per manifestarne una. Poracci, verrebbe da dire, ma alla fine sono pericolosi.
è il finale di quel libro che non mi convince. La regalità della toppa lascia il posto ad un'integrazione presentata come inevitabile.
Oggi lo scambio, il dono, il baratto sono segnali di civiltà, di quell'economia solidale senza la quale avremo un futuro depressivo nel nostro orizzonte.
Lo swapping, che in alcuni casi si veste di un allure modaiolo, sarebbe invece una forma popolare e contemporanea di abolire il consumismo
http://www.zerorelativo.it/
http://www.terranauta.it/a1695/cultura_ecologica/quando_il_denaro_non_e_tutto_.html
Cristina, il libro è ambientato ai primi del secolo scorso in un paese dove il denaro è sempre stato il vero e unico Dio, tant'è che hanno stampato "In God we trust" perfino sulle banconote da un dollaro. Steinbeck evidentemente non voleva fare di Junius e suo figlio degli eroi rivoluzionari ma dipingere la loro spontanea e pulita ingenuità. Forse Steinbeck con quel finale riesce ad ottenere un effetto sul lettore che non avrebbe ottenuto creando dei ribelli ideologicizzati, perchè secondo me in questo modo riesce a spostare il problema dentro il lettore e non ad alienarlo nei personaggi del racconto. In altri termini è il lettore che deve avere la forza e l'intelligenza di essere rivoluzionario per non finire sottomesso e ubbidiente come Junius.
Almeno io l'ho letto così.
;)
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