sabato 31 dicembre 2011

ermetismo di fine anno



Lascio che le immagini diventino ombre, memorie di cose vissute, dipinte sul muro dei ricordi.
L'ombra dell'albero non è l'albero, è la memoria che ho dell'albero. E si trasforma con la luce, più alto, più basso, più...
Ah, i punti di vista! 
Se chiudo gli occhi e sogno non c'è più la luce, ma la memoria dipinge anche al buio.
Ed io so quanti alberi dipingo nel buio della notte, lasciando che i loro rami s'intreccino col mio desiderio.
E so che vivo un'eterna sfida, di comporre l'albero che sogno con l'albero che vedo davvero.
Forse Dafne era una frigida e Apollo un Dio scemo.
Ma sicuramente Platone era un idiota.

giovedì 29 dicembre 2011

L'arte della gioia



"Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore, esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali... E poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l'uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione."


(L'arte della gioia, Goliarda Sapienza)



Ovvia, si riparte



Sì sì, io me ne accorgo subito, se ne accorge il mio corpo, il mio stato d'animo.
Le giornate si stanno già allungando.
Di un nonnulla, dirà qualcuno, un'inezia.
Ma è un nonnulla inarrestabile, che mi mette di buonumore.
Per questo c'era la festa del Sole, che i cristiani scipparono tramutandola in un demenziale, quanto falso, compleanno di un tipo che non è mai esistito. Ma che volete farci, non c'è niente che piaccia di più agli uomini che le bugie. Più son grosse e più ci vanno a nozze. D'altronde ogni potere sulla mente altrui è sempre costruito su una menzogna.
La rinascita del Sole invece era la festa più bella, senza il suo calore noi non saremmo qui, senza la sua luce non potremmo immaginare niente.

sabato 24 dicembre 2011

La cena degli orrori (o l'equilibrio della tazzina)



Sono anni che continuano ad invitarmi alle cene dei vecchi compagni di scuola ed io ho sempre trovato una scusa per non andarci, dato che erano persone con cui non avevo più avuto contatti, ma l'ultima volta non mi sono inventato improrogabili impegni o problemi di salute dei miei vecchi genitori, ho semplicemente detto che non avevo assolutamente voglia di andarci, che non ero curioso di sapere cosa avevano fatto delle loro vite i miei ex compagni nè di vedere le davastazioni del tempo sui loro corpi. Inoltre i resoconti delle precedenti cene raccontati da uno di loro, l'unico che ho casualmente incontrato, erano così penosi da fugare ogni mia titubanza. Mi parlava di Tizio con tre by-pass, di Caio con un fegato trapiantato, di Pinco che pesava centoquaranta chili o Pallino che s'era dato all'alcol. Cazzo, ma siamo matti? Cosa ci andavo a fare, a gongolarmi della mia buona salute? Proprio Pallino, che era il più bello, quello che quando andavamo alle feste attirava gli sguardi di tutte le ragazze, che gliela davano senza che lui nemmeno aprisse bocca, mentre a noi ci toccava imbastire un romanzo di cazzate per poi non aguzzare nemmeno un chiodo, ecco proprio lui è diventato un disastro, inebetito dall'alcol, gonfio, bolso e prossimo alla cirrosi epatica. Possibile che con tutte le donne che perdevano la testa per lui non ne abbia trovata una capace di dargli la gioia di vivere? Perchè alla fine a me è di questo che importa, non di sapere che uno è diventato presidente di una grande multinazionale o che un altro ha accumulato una fortuna con gli immobili. Ci interessiamo sempre dell'immagine pubblica, dell'identità sociale, ma spesso quello che siamo davvero lo nascondiamo sotto il tappeto di quelle apparenze. E a me non interessa parlare di apparenze, di pavoneggiarmi o angustiarmi per un successo o un insuccesso, dato che quegli inganni li ignoro se non hanno il sostegno di un bel sogno.
Ieri ho conosciuto una cantante di musica popolare piuttosto famosa, abbiamo scoperto di avere qualche amicizia in comune, fra esse un percussionista con cui facevo piccoli concerti e che ha suonato anche insieme a lei. Lui, nonostante le enormi difficoltà e gli scarsi successi, ha continuato ostinatamente a voler vivere di musica (in questo lo ammiro), io invece rinunciai alla professione (di questo mi pento), ma non certo alla musica.
Al di là del successo, ho sentito la bellezza del sogno di tutti e tre.

martedì 20 dicembre 2011

linea di pensiero o di febbre?



Quando a questo blog si aggiunge una nuova lettrice o un nuovo lettore mi domando se la cosa mi paralizzerà ancora di più in un ruolo che non so quale sia.
Se vi sembra un discorso sballato avete perfettamente ragione, ma io lo faccio lo stesso, prima di tutto perchè è vero e poi perché ogni nuovo paio d'occhi che mi segue ingrassa il mio narcisismo fino ad un livello tale che l'abito con cui si riveste diventa sempre più stretto, talmente stretto che alla fine è così scomodo da dovermelo togliere per poter continuare a scrivere a cazzo di cane come sempre, senza preoccuparmi di deviare da una linea che non ho, perchè la mia linea consiste semplicemente nel non avere nessuna linea tranne il mio capriccio.
Dio bono, ho una coerenza invidiabile.
Dunque, lasciando le linee libere d'intrecciarsi a vanvera nel mio cervello, ecco che mi mostrano delle foglie che scambio per capelli sullo sfondo d'un cielo verde menta. Le palle d'un lampione (o un lampione palloso) s'accendono troppo presto e mi guastano gli ultimi sprazzi di crepuscolo, la mia ora preferita. Potrei starmene seduto su una panchina lì sotto a leggermi un libro, ma il freddo non è amico della lettura, mentre la luce dei lampioni non è amica della magia crepuscolare e quindi ho scattato una foto nell'ingenua convinzione di documentare un dissidio, un contrasto. Macchè, sembrano tutti tranquilli, anzi addirittura amici, gli alberi, il cielo, il pallosissimo lampione, la luce vera e la luce artificiale. E per sovramercato mi è sembrata anche una bella serata.

venerdì 16 dicembre 2011

la sintesi meravigliosa



Credo che questa vignetta di Staino riassuma perfettamente la situazione e spazzi via ogni inutile diatriba sull'argomento. Di tanti discorsi sentiti o letti in questi giorni, fra cui metto anche i miei, la cosa più concreta e condivisibile l'ha detta una ragazza proprio ieri, sostenendo che della pazzia dell'assassino se ne occuperanno i medici ma che i cittadini hanno pieno diritto d'incazzarsi anche nei confronti della sinistra che non si è adoperata affinchè luoghi di delirio e violenza come Casa Pound venissero chiusi.

mercoledì 14 dicembre 2011

A e B



Ero in via Borgo S.Lorenzo, un elicottero se ne stava sospeso sulla piazza dell''omonimo mercato, ancora non sapevo cosa fosse accaduto pochi minuti prima. Mi erano giunte solo voci di un duplice delitto in un'altra piazza lontano da lì, sembrava una roba di regolamento di conti fra spacciatori.
Non era affatto così.
Adesso assisto all'ennesimo teatrino di discussioni e distinguo fra razzismo e pazzia (qualcuno la chiama follia ma il termine non è corretto), come se dicendo che è stato il gesto di un pazzo si temesse di mitigarne la condanna o di assolvere implicitamente, separandola, la cultura che a quel gesto ha condotto. Mi dispiace, ma non è così. Anche se è difficile sostenere che tutti i razzisti sono pazzi, possiamo però dire che è la loro cultura ad essere pazza. Poi per fortuna sono solo pochi i pazzi conclamati che agiscono quel portato culturale.
La pazzia si genera dall'alterazione delle immagini interne, poi invade il pensiero rendendolo anaffettivo, ma quando passa all'azione diventa psicosi conclamata.
Uno può essere razzista e fermarsi sulla soglia della realizzazione dei suoi convincimenti, non è un granchè ma significa che gli resta ancora un barlume di rapporto con la realtà umana.
Quando perde quel rapporto, ossia quando l'immagine interna umana si disgrega, allora è la fine e i pensieri astratti e l'anaffettività dilagano facendo perdere il senso all'umano. Si entra nel delirio.
Curare un pazzo è un dovere medico, ma che senso ha curare senza debellare le cause della malattia?
Ed ecco la domanda gigantesca: Un vero psichiatra può esimersi dal fare politica? Può rimanere indifferente di fronte alla dissociazione dilagante nella cultura e nella società?
Me lo chiedo perchè è lo stesso principio che ci ha portati a bandire l'amianto e le sostanze ritenute pericolose per la salute fisica.
E per la salute mentale cosa dovremmo bandire?

giovedì 8 dicembre 2011

la clandestinità e (è) l'incubo dei potenti (piccolo delirio di poche sinapsi in libertà non vigilata)



Quando costruirono la bomba atomica pensarono di aver finalmente raggiunto l'onnipotenza divina. Il dio in cui credevano era un dio vendicatore e l'uso di un'arma così micidiale non rappresentava un rifiuto verso l'ottusa resistenza nemica ma una negazione, fino all'annullamento della realtà umana.
Se nelle loro menti non ci fosse stata quell'idea di dio si sarebbero spaventati, si sarebbero fermati, perchè non avrebbero avuto in sè quell'immagine astratta e così terribilmente violenta. Ma quel dio lo avevano inventato proprio per distruggere i nemici, sostenendo che non esisteva nessun altro dio al di fuori del loro.
Il monotesimo aveva aperto le porte a questo enorme pericolo. L'idea dell'infallibilità divina poi non lasciava nessuno spazio alla dialettica.
Dopo la prima atomica ne sganciarono un altra. Se la prima era stata un'idea pazza seguita da un gesto psicotico, la seconda ne ratificava e consolidava la criminalità. Non era più nemmeno il caso di parlare di odio, lo sterminio compiuto premendo un semplice pulsante sradicava completamente ogni possibilità e senso di pietà umana.
L'umano non esisteva più.
Il dio astratto ed alieno era definitivamente entrato nelle loro menti come nel vecchio film di fantascienza "L'invasione degli ultracorpi".
La ragione li condusse ad una falsa idea di bontà legata all'utile: non si poteva ucciderci tutti, altrimenti ci saremmo estinti. E la ragione osservava il mondo animale chiamandosene fuori solo grazie a se stessa: è la ragione che distingue gli esseri umani dagli animali. E così, osservando i predatori ed i carnivori, pensò che anche fra gli esseri umani c'erano i forti e i deboli e che la natura creata da dio permetteva agli eletti di sottomettere i deboli, agli uomini in grazia di dio di sottomettere e guidare chi non riconosceva il dio o non era toccato da quella grazia.
Furono sterminati milioni di individui.
Ma gli eletti avevano bisogno di sudditi per regnare e quindi permisero alle genti di vivere, purchè in schiavitù.
Fu messa al bando l'atomica, troppo invasiva, grossolana e difficilmente gestibile, al suo posto fu introdotto l'uso sistematico del debito pubblico: ogni nuovo nato, per quanto innocente e ignaro, avrebbe avuto in eredità un debito, coerentemente e parallelamente all'idea del peccato originale. Non sarebbe stato possibile per lui vivere nel contesto sociale senza accollarsi quel debito, pena la perenne clandestinità.
Gli eletti gestivano quel debito come dio gestiva le tempeste e le carestie.
Iniziò a farsi largo nella mente di alcuni sudditi l'idea di una clandestinità culturale e intellettuale, iniziarono intese e alleanze non scritte, un codice di comportamento che rifiutava ogni complicità attiva o passiva con il sistema degli eletti. E poichè quel sistema era basato sul mercato fu da lì che iniziò la rivolta silenziosa, usando proprio l'arma del nemico, il mercato, ma privandola dei proiettili, ossia il denaro. Iniziò in sordina un piccolo movimento di scambi, di merci o di lavoro, che non aveva rapporto col denaro ma con l'esigenza di condivisione e coesione. Una sorta di nuova alleanza che permetteva, a poco a poco, di sfuggire alla dittatura del denaro.
La crisi si avvitò su se stessa ma chi aveva intrapreso il percorso virtuoso dello scambio senza denaro e senza accumulo di esso vide crollare uno dopo l'altro i grandi centri commerciali. Le multinazionali che rifonivano quei centri iniziarono a perdere potere perchè non accumulavano più denaro.
Alcuni grandi capitalisti avevano da tempo annusato il vento e si erano dati da fare per accaparrarsi la maggior parte di terreni disponibili, ben sapendo che senza terra non si producono le materie necessarie alla sopravvivenza. Se la rivolta aggrediva il superfluo non avrebbe certo vinto contro l'essenziale.
Lo scontro si fece violentissimo e i meno sprovveduti si ricordarono che un'antica rivoluzione, in un lontanissimo 1789, aveva avuto i suoi germogli nella rivolta contro le recinzioni dei terreni a maggese che impediva ai contadini di far pascolare le loro poche bestie.
Ci si rese immediatamente conto che lo scontro sarebbe avvenuto non tanto per la proprietà privata ma per il concetto di bene comune. Improvvisamente (ma un primo timido segnale fu in un lontano referendum sull'acqua) dilagò una inaspettata presa di coscienza dei diritti inalienabili di ogni essere umano, liberando la mente dai dogmi e dalle servitù ideologiche imposte da certi falsi pensatori, da politici asserviti o da economisti privi di una benchè minima idea di realtà umana.
Sembrava incredibile ma gli esseri umani si resero conto di cosa significava essere tali, compresero che una cultura plurimillenaria li aveva ingannati, prima di tutto con l'idea di Dio e la conseguente sudditanza dell'uomo ad un potere astratto.
Divennero clandestini dell'anima e, in quanto tali, solidarizzarono, perché non furono più sottomessi per nascita ad una religione, a una cultura ufficiale o a una credenza, a un'appartenenza territoriale o a un'etnia. Ognuno era libero di pensare ed essere quello che voleva, ma solo se il suo pensiero generava una libertà condivisibile da tutti, ovvero la libertà era libertà di essere esseri umani. Finalmente non si parlò più illusoriamente e ipocritamente di democrazia, al suo posto si fecero largo l'idea della condivisione e della condivisibilità, il bene comune rendeva giustizia ad un individualismo sano.
Il pianeta tirò un sospiro di sollievo.
Cazzo, che incubo orribile ho fatto, pensò il segretario del club Bilderberg svegliandosi da un sonno agitato!

mercoledì 7 dicembre 2011

conoscenza e consuetudine

Il monolocale è sfitto, chissà dove sono andate a stare le cinciarelle,


la panchina dei pensieri resta vuota in attesa di stagioni migliori,


ma le mie roselline rosse stanno da dio!


Lo so, è una mia vecchia mania animistica quella di ragionare con le piante, fino dai tempi in cui dialogavo con dei pomodorini saccenti e svogliati, ma questa rosellina qualche anno fa stava morendo, allora la trapiantai in un punto che mi sembrava potesse piacergli ed eccola là, fiorisce anche a dicembre madonna bona!
Adesso come faccio a non vedere e non dire che quei due petali in basso sono le sue manine protese in un gesto di offerta e ringraziamento?


Va bene, non c'è bisogno del 118, è solo un cazzeggio per stemperare l'insofferenza che sempre mi provoca l'avvicinarsi del Natale con l'obbligo di rispondere cortesemente alla gente che ha già cominciato a farmi gli auguri.
Quanto mi conoscono poco...

domenica 4 dicembre 2011

L'appendice



E ieri sera, parlando con amici sull'argomento del post precedente, mi son detto: che scemo che sono, non ho pensato subito ad un altro aspetto fondamentale della vicenda.
Perduti come siamo nel nostro narcisismo da blogger a volte non pensiamo davvero agli altri.
Cosa ho pensato?
Ho pensato ai depressi che leggono quegli articoli sui giornali dove la depressione viene equiparata ad un tumore allo stadio terminale.
Cosa penseranno loro? Quali conclusioni potranno trarre? Quale speranza di cura gli rimarrà? Con quanta fiducia potranno acchiappare il filo di una relazione terapeutica (cardine per ogni psicoterapia), se è proprio un medico ad aver dato la morte come risposta ad un pensiero alterato dalla depressione?
Me le chiedo soltanto io queste cose?
No, ovviamente!

giovedì 1 dicembre 2011

Eutanasia???



Forse è un po' la noia, forse è l'età, forse è la stanchezza di leggere sempre la confusione nel pensiero di certi giornalisti.
Il fondatore del Manifesto ha deciso di smettere di vivere, lo ha fatto per depressione.
Subito, accanto al sincero dispiacere di alcuni, si accalcano e si sprecano le interpretazioni sballate. E qualche sostenitore dell'eutanasia (eutanasia che io stesso sostengo) si lascia trasportare in un pasticcio mentale che non distingue una malattia incurabile come quella di un famoso regista che decise di morire non molto tempo fa, da una depressione come quella del fondatore del Manifesto.
Come se essere depressi fosse uguale ad avere un tumore allo stadio terminale.
No, mi dispiace ma non è così.
La depressione è curabile ed accettare che un depresso si uccida è indifferenza.
Non deve confonderci il fatto che la persona in questione avesse 79 anni.
Se a chiedere la morte fosse un ragazzo di vent'anni, sano e integro nel corpo, saremmo tutti d'accordo a chiederne la cura psichiatrica. Se a chiederlo è un uomo anziano dovremmo comportarci diversamente?
Non solo, ma osservo che, latentemente, viene fatto passare un messaggio di rassegnazione e di alleanza col pensiero del suicida che nega la voglia e la gioia di vivere.
Per me non esiste nemmeno il suicidio etico, poichè ad ogni livello ed in ogni modo il suicida lancia un messaggio di assoluta negazione. Il suicida "non vuole" che si lotti affinchè le cose si trasformino perchè dice e pensa che le cose non cambieranno mai, condannando il mondo alla morte ed all'immobilismo invece di lottare affinchè la vita di tutti diventi migliore. Questo è il messaggio del depresso autentico e va rifiutato decisamente, senza cadere in sofismi esistenzialistici che avvelenerebbero il pensiero con falsi concetti di libertà.
Il rifiuto però non ci toglie il dolore per la perdita, rifiutare non significa essere anaffettivi.

sabato 26 novembre 2011

classe senza feticismi


Ci sono delle cose che si indossano fino alla consunzione e quando diventano lacere o scolorite sono ancora più belle. Non è una stupida questione di moda, è un modo di essere e di vivere, ostinatamente, esclusivamente nostro.

venerdì 25 novembre 2011

ricorrenze

Ruhevoll: Auguri blogghino mio, in un anno hai sparato tante di quelle cazzate che un po' di silenzio ti farebbe bene. Dimmi, quale immagine vorresti scegliere per un po' di autentico e sano ruhevoll?
Blogghino: Questa!


Ruhevoll: Oh sì, perché ci ricorda la giornata più bella dell'anno, perchè ci sono i monti e c'è l'acqua, con la canoa pronta per risalire verso le sorgenti o per scendere verso il mare, a seconda dell'umore e dei sogni. Un giorno siamo Marco Polo ed un giorno Cristoforo Colombo, una volta siamo palombari ed un'altra alpinisti. Un giorno di qua e un giorno di là. A volte partiamo all'alba, a volte al tramonto, e non ci curiamo se sia notte o giorno, purchè ci siano storie e fantasie da inseguire.
Blogghino: Ma un giorno da fancazzisti no?
Ruhevoll: Oh certo, quello sempre, ma tu, blogghino mio, che sei fatto di niente, che sei l'ombra di un pensiero che non giunse alle mie labbra, che sei il non detto di ciò che ho scritto, cosa vuoi per il tuo compleanno?
Blogghino: Ruhevoll, che palle che sei!!!
Ruhevoll: lo so, lo so, ma non mi prenderai mica sul serio vero? Io non lo faccio quasi mai.
Blogghino: Ma cazzo, se è il mio compleanno, lasciami dire qualcosa che non esca dalla tua penna.
Ruhevoll: Giusto, va bene, sentiamo.
Blogghino:
Notte e giorno faticar
per chi nulla sa gradir
piova e vento sopportar
mangiar male e mal dormir...


Voglio fare il gentiluomo
e non voglio più servir
e non voglio più servir
no no no no no no non voglio più servir.

Ruhevoll: No, scusa, ma se prendi le parole di Leporello sembra tu voglia mettermi nei panni di Don Giovanni, e sai bene cosa  penso di quel borioso sciupafemmine. E poi via, condividi piuttosto questo anniversario coi tuoi amici blogger, offri loro qualcosa, se non altro per l'enorme pazienza che hanno dimostrato nel venirti a leggere!
Blogghino: Cretino, leggono te, non me, io sono solo una bacheca, un servo muto!
Ruhevoll: Vedo che ogni mio tentativo di animarti è fiato sprecato. Possibile che tu non veda che ogni blog assume un'identità sua, indipendentemente dalla volontà cosciente di chi lo ha inventato? Non vedi come gli altri blog tuoi amici siano sì la rappresentazione di un aspetto dei loro autori, ma anche una realtà che sfugge ai loro intenti rappresentativi?
Blogghino: Sei sempre il solito elucubratore dei miei coglioni!
Ruhevoll: Dai, cerca di essere riconoscente, dillo che sono belli proprio per tutto ciò che elude le loro intenzioni. E sai perchè?
Blogghino: No, io sono solo un blog.
Ruhevoll: Perchè ai tuoi amici sfugge di penna la loro bellezza, il loro modo di stare insieme anche nell'assurdo silenzio del virtuale. Ci sono scrittori di indiscutibile talento ed inventiva, ci sono storici dell'arte che trasformano i quadri in meravigliosi racconti, o persone che sanno cogliere qua e là  musiche, film, poesie e li distendono sotto i tuoi occhi in una composizione insolita e stimolante, poi c'è chi ti racconta delle piante e dei fiori con lo stupore di una bambina, chi parla sempre e solo di sè ma con una tale profondità da glissare il mero narcisismo, c'è chi sfarfalla e mescola di tutto in stupendi pastiche degni di un Pollock, o chi semina perle nel vento donandoti collane e fili di pensieri lontani dalla mediocrità.
Blogghino: Mi fai diventare portavoce di un leccaculo.
Ruhevoll: La tua è banale invidia mio caro, e sei anche tirchio, metterò io per te una foto che renda loro merito e rappresentazione!


Blogghino: Non sono invidioso, sono geloso cazzo, è il mio compleanno e nemmeno una parola sulla mia nascita.
Ruhevoll: Dietro ogni nascita c'è una storia d'amore, contento?
Blogghino: Mavaffanculo va'!
Ruhevoll: Sei proprio il mio blogghino!

sabato 19 novembre 2011

'no due, 'no due...



Era la fine degli anni cinquanta, mi misero un grembiulino nero, un colletto bianco, un fiocco azzurro e mi lasciarono sulla porta della scuola elementare Giotto.
Che cazzo di scuola!
Non feci in tempo a capire cosa ci facevo che già mi avevano messo in riga insieme ad altri bambini (tutti maschi). Silenzio! In fila per due! Avanti marc  'no due, 'no due, passooo, pum, passooo, pum, 'no due, 'no due...
Lo giuro, avvenne proprio così.
La maestra era una rospa nevrastenica che portava in classe una canna di bambù per tirarcela sulle mani ad ogni nostra minima disattenzione.
Lo giuro, è vero anche questo.
Durante la ricreazione dovevamo rimanere fermi nei nostri banchi senza fare un cazzo tranne che mangiarci la colazione portata da casa, mentre durante l'ora di ginnastica, sempre stando fermi nei banchi, dovevamo passarci di mano in mano una palla, senza lanciarla sennò la maestra s'innervosiva.
Continuo a giurare che è vero.
Come se non bastasse, una volta il preside pensò bene di riunirci nel corridoio per farci un discorso di fronte al busto del "Milite ignoto" (orrenda quanto lugubre figura marmorea inserita in una nicchia laterale) tenendoci lì impalati sull'attenti per un'ora. Non capivo nemmeno il significato della parola ignoto.
Per quanto mediocri i miei genitori pensarono bene di togliermi da quella caserma. Gloria eterna a loro!!!
L'anno successivo scoprii che il mondo era meraviglioso. Nessun grembiulino, nessun colletto e men che meno fiocchi. Classe mista, con abbondanza di ragazzine che mi riempivano gli occhi ed il cuore. Dopo un mese avevo già due fidanzate, Elisa e Rossella, la monogamia poteva attendere. Quella scuola era una mosca bianca! Aveva un teatro, che mi vide nei panni di un sindaco e in quelli di un folletto uscito dalle storie dei fratelli Grimm. Ci davano ogni tipo di materiale per dipingere e scolpire, la palestra era piena di tutti gli attrezzi immaginabili e l'ora di ricreazione era un momento di baldoria libera e pazzesca nell'ampio giardino.
Ora, mi domando, per quale cazzo di motivo esistono delle differenze così abissali da farti credere nei mondi paralleli? In questo caso il problema non si pone, la differenza era data dalla violenza e dalla stupidità italiche ed alla trasmissione del pensiero (pensiero???) gentiliano, la cui riforma andò in soffitta solo nel 1962!!!
Sliding doors era il titolo di un filmetto con quella bonastra di Gwyneth Paltrow. Chissà come sarebbe andata la mia vita se mi avessero lasciato a marcire in quella caserma gentiliana.
Ovviamente scrivo queste piccole memorie non solo per vergognoso narcisismo, ma anche perchè la Gelmini è finalmente fuori dai coglioni, ma la sua riforma resta. Se ne occuperà il nuovo ministro o ci terremo questo schifo di riforma per i prossimi quarant'anni? 

mercoledì 16 novembre 2011

Ruhevoll da' retta, sta' attento a' tombini!!!!



Non certo in un'aria di vetro, ché oltretutto era sera e stavo anche fermo. Ho guardato un cielo che sembrava dipinto da Folon, immaginandomi improbabili sussurri fra gli alberi. Ad alcuni di essi frusciavano timidamente le foglie, ma l'aria era oltremodo silente. Sembrava che salutassero il sole, guardando ad ovest come frondose statue dell'isola di Pasqua.
Mi sono avvicinato alle piante per guardare insieme a loro la linea dell'orizzonte.
La luce era delicata, veniva voglia di carezzarla.
Ma si può carezzare la luce?
Forse sì, quando attraverso gli occhi lei s'irradia nei pensieri, sciogliendoli.
E tante cose appaiono molto, molto relative.
Te ne stai lì, sapendo che tra poco brilleranno le stelle nel cielo. Inizieranno a salutarti man mano che la loro luce si poserà su di te. T'inventerai un gioco e darai loro i nomi delle persone che ami, ed il cielo si popolerà di ricordi, diventando più umano.
Poi ripiegherai tutto come fosse un disegno, riponendolo nella tasca delle immagini, perchè lo sguardo non può sempre dipingere e sognare.
Ma ti resterà un po' di quel riflesso negli occhi.
E sorriderai alla notte che hai davanti.

domenica 13 novembre 2011

Goldman Sachs e gli amici odontotecnici

Una volta c'erano re, principi, nobili di vario rango, che vessavano e angustiavano la plebe con tasse, soprusi e decime.
Poi venne la rivoluzione francese ed il popolo pensò di essere finalmente diventato sovrano. Invece iniziò la sovranità della borghesia, quella coi soldi, perché coi soldi comperava sempre più potere.
Poi venne Napoleone e poi la restaurazione e poi altre lotte e rivoluzioni e guerre ecc. ecc.
Il popolo continuava ad attendere il riconoscimento della sua sovranità, ma gli fu fatto notare che, a causa dell'emergenza economica, doveva aspettare qualche altro secolo.
Nel frattempo lo si consolava costringendo alle dimissioni un odiato presidente del consiglio e sostituendolo con una sorta di odontotecnico che avrebbe strappato la maggior parte dei pochi denti rimasti in bocca al popolo.
Io penso a vanvera e mi affiorano immagini ricordo di piccoli libri letti da ragazzino. In uno di essi veniva descritto un incredibile movimento di migliaia di pesciolini verso la riva, in cerca di salvezza, dietro di loro altri pesci più grossi guizzavano apparentemente contenti di poter cacciare i più piccoli e dietro a questi c'erano pesci ancora più grossi che sospingevano i precedenti. Ma se un osservatore fosse salito in cima alla collina a guardare l'ampio golfo avrebbe notato che al largo nuotava una gigantesca orca.
Le due foglioline che mi hanno raccontato questi loro dubbi e pensieri hanno deciso di stare insieme per potersi scaldare durante quello che si prefigura come un rigidissimo inverno. I loro occhi e le loro boccucce sono stati disegnati da un piccolo insetto. Appaiono vuoti, come le nostre tasche ed i nostri diritti dopo che l'acclamato odontotecnico avrà compiuto il proprio mandato.
In quel vuoto ci leggo tutta la disillusione umana di fronte a questi inganni economici.
Ma una è rossa come la vitalità e l'altra è gialla come il desiderio, dobbiamo sbrigarci a realizzare quella linea blu scuro-quasi nero d'intelligenza e fare qualcosa per rivendicare la nostra nascita (libera da qualsiasi debito pubblico) prima che secchino del tutto.

venerdì 4 novembre 2011

e vabbè



Era il millenovecentoci'mportaunasega, quando all'ultimo piano di un vecchio e popolare edificio di via Ghibellina nasceva anzitempo il sottoscritto. Stare in quella pancia senza fare un cazzo era sicuramente piacevole, lo era soprattutto perchè non sentivo i rimbrotti di quella tipa che mi ospitava e che già faceva progetti su di me prima ancora che fossi nato, che tonta! Che ne sapeva lei di come sarei stato io? Le mamme andrebbero fatte fuori subito, la vita scorrerebbe come un fiume tranquillo. Ho il sospetto che quel primo urlo che lanciamo pochi secondi dopo la nascita sia un preventivo vaffanculo. Non che voglia parlar male delle mamme, poracce, ce ne sono anche di buone e intelligenti, ma è raro incontrarne una che non si sia "immaginato" il proprio figlio prima ancora di averlo partorito. Ed il guaio è proprio quella dicrepanza fra l'immaginazione e la realtà, una fantasticheria che dura nove mesi, più o meno. Togliergliela dalla testa è un duro lavoro di strilli e bizze.
Ad ogni modo io ero l'ospite e non ero altro che un organismo (non un bambino) sospeso in un liquido caldo ed avvolgente, attaccato col cordone ombelicale ad una tipa che pensò bene di buttarmi fuori. Sì, perchè pochi sanno che l'organismo femminile produce un non so cosa per impedire al corpo di rigettare il feto come fosse un elemento estraneo (amore materno una sega). Quando l'effetto finisce l'incompatibilità diventa chiara e via, ci si separa, ognuno per i cazzi suoi. Tu dammi poppe, latte e tanto amore, io ti do la soddisfazione o l'illusione di essere opera tua. Perchè non è carino far notare alla mamma che per la gestazione sarebbe andato benissimo anche l'utero di una scimmia, l'importante è non trovarsi una scimmia davanti quando siamo nati (cosa non sempre facile). Insomma la maternità non è creatività nel vero senso della parola, la creatività è ben altro e non l'hanno certo nè le scimmie nè l'organismo umano in sè.
In via Ghibellina mancava il riscaldamento, ed essendo io prematuro (immaturo lo sono diventato poi con grandi sacrifici) provvidero a scaldarmi fra due bombole di metallo, quelle da seltz, riempite d'acqua calda,  le borse di gomma ancora non c'erano, e mia nonna le aveva rivestite di lana all'uncinetto. Quante attenzioni, eppure patisco il freddo tutt'oggi.
La figura del babbo venne dopo, prima avevo da fare con le poppe e le crisi isteriche di quella là. Il babbo però ce lo possiamo scegliere, anche inventare, nel senso che se quello naturale (diciamo così) è scarso, possiamo andarcelo a cercare da qualche altra parte, persino in un libro (ma a quei tempi non sapevo leggere, sennò sarebbe stato Saramago). Lo trovai invece attraverso un vecchio grammofono, abitava nascosto in quei microsolchi ruvidi dei vecchi LP, si chiamava Borodin, ma non sapevo leggere il suo nome, lo seppi in seguito. Ricordo anche i nomi di alcuni zii, si chiamavano Mozart, Brahms, Mussorgskij, Bach, e poi alcuni strani e meno affascinanti cugini che si chiamavano Platters o Eddy Calvert. Mussorgskij lo amavo, ma sentii che il mio babbo era Borodin, a causa di una melodia che mi sono portato dentro per tutta la vita. Niente di eccezionale, ma è andata così.
Crebbi, lo sapete anche voi che questo accade inevitabilmente, e dimenticai tante cose, fra le quali anche il babbo. Un giorno, dopo tanti tanti anni, ero dal mio verduraio di fiducia, un ometto simpatico e molto esperto del suo lavoro. Questo signore teneva sempre una piccola radiolina accesa per farsi compagnia. Quella sera stavano trasmettendo la musica del mio babbo. Rimasi incantato, la sentii risuonare in tutte le mie viscere. Non ricordavo il titolo nè l'autore ma sapevo che l'avevo sentita, la conoscevo da sempre, era lei! Non avendo il tempo per aspettare la fine del brano e sentire il titolo, chiesi all'amico verduraio di segnarselo se l'avessero detto.
Il titolo è: nelle steppe dell'asia centrale, di Alexander Borodin. E' l'intreccio di due melodie, una meravigliosa e semplice rappresentazione musicale della dialettica fra i popoli, dell'incontro fra diversi, alla faccia di tutte le etnie e di tutte le guerre.
Il resto è vita. 

giovedì 3 novembre 2011

una questione di luce



La felce mi arrapa anche solo col suo nome, sa di boschi antichi, è elegante, raffinata. Le sue costole mi ricordano altre forme, ma non saprei  dire per quali misteriosi percorsi la sua immagine evoca in me una dolce e flessuosa schiena di donna.
Amo il suo frusciare delicato, il suo giocar con la luce, le sue promesse di funghi nascosti. Non sempre mantenute, è vero, ma non per colpa della felce. Semmai per imperizia del cercatore.
Se fosse uno strumento musicale produrrebbe il suono di un'arpa eolica, ne sono sicuro. Non se ne costruiscono più, ahimè.
Forse ci hanno rubato i suoni, li hanno sostituiti con rumori insulsi. O forse molti hanno perduto le orecchie.
Osservare un sottobosco pieno di felci è quasi come immergersi dentro il mare a guardare le posidonie.
Io trattengo il fiato ma nei sogni, talvolta, si respira anche sott'acqua.
Poi, a volte, si nasce.
Quante volte siamo nati, quante nascite abbiamo perduto, quante ne abbiamo ritrovate?
Ingialliscono le felci, poi seccano e spariscono.
Tutti giochi di luce.
Devo continuamente imparare ad usare la luce giusta.
Per saper trovare.
Per saper vedere.
Per saper amare.

mercoledì 26 ottobre 2011

Legno norvegese, ricordi adolescenziali e vinello nel cervello. Mescolare bene!

A volte, con il dovuto quantitativo di buon vino e le conseguenti stonature, si può arrivare ad interpretare il senso di una vecchia canzoncina come quello di un conflitto fra lavoratori e disoccupati. Non è però consigliabile dar sempre fuoco a tutto.

I once had a girl, or should I say, she once had me... 
She showed me her room, isn't it good, norwegian wood? 


She asked me to stay and she told me to sit anywhere, 
So I looked around and I noticed there wasn't a chair. 


I sat on a rug, biding my time, drinking her wine 
We talked until two and then she said, "It's time for bed" 


She told me she worked in the morning and started to laugh. 
I told her I didn't and crawled off to sleep in the bath 


And when I awoke, I was alone, this bird had flown 
So I lit a fire, isn't it good, norwegian wood.
Buone cuffie please...!
(Ma sospenderò i commenti, perchè sarebbero un po' imbarazzanti no?)

giovedì 20 ottobre 2011

Varada Mudrā



A volte piovono fiori.
Te li ritrovi addosso e ti senti felice. Li prendi come un regalo. Forse. O forse no, non sono un regalo, sono nati dai semi che hai lasciato lungo il cammino.
E la cosa ti appare ancora più bella.
Gioisci soprattutto della bellezza altrui, quella che vien fuori alla distanza, perchè sono gli altri ad aver coltivato quei semi, senza calpestarli, ad averli nutriti di quell'amore intelligente che fa nascere le cose, quelle cose che prima non c'erano.
Si chiama creatività.
Senza calcolo, senza ragione, senza contratti, ma solo grazie a quel filo invisibile che attraversa la nostra esistenza come un fiume carsico e che ogni tanto affiora in polle d'acqua limpida, ristoro e sorpresa dei viaggiatori solitari.
E continui a camminare, con un segreto felice nelle tasche.

domenica 16 ottobre 2011

elefanti e cristallerie

Gli arabi sono (ed erano) sensuali perchè usano i sensi e non temono il corpo come i cristiani. Basta pensare alla musica, fino dai tempi degli antichi. Mentre invece quel sessuofobo di Platone nelle "Leggi" si scagliava contro l'uso dei semitoni e dei glissandi che la musica araba intonava con l'aulos, perchè li riteneva troppo lascivi e indefiniti, difficili da razionalizzare e per questo pericolosi. Lui prediligeva l'uso della lira, con corde dall'intonazione fissa e determinata, Apollo contro Dioniso. Che idiota Platone, un uomo a metà.
E pensare che Bartok gioì dell'invenzione del fonografo perchè gli permetteva di registrare ciò che la grafia musicale non riusciva rappresentare. Le "leggi" sarebbero state più intelligenti se le avesse scritte Bartok.
Uomo a metà Platone, ecco che le parole mi viaggiano in testa e si accoppiano nella memoria fino a far risuonare roba sepolta come questa frase, che la leggenda vuole sia stata pronunciata dalla madre al figlio Boabdil, ventiduesimo sultano della dinastia Nasrì a Granada, mentre questi piangeva il suo regno perduto:
"Piangi come una donna perché non hai saputo difendere il tuo regno come un uomo".
Le mamme sono stronze, a prescindere. Cazzo lo vai a rimbrottare proprio nel momento in cui gli girano di più i coglioni? Volevi che si fosse fatto ammazzare insieme al suo popolo? Oh, sarebbe stato di un eccezionale effetto eroico, ma poco efficace dal punto di vista del successo.
E poi quale negazione dell'identità femminile in quella frase di madre!
Viene da pensare alla fuga dei pacifisti di fronte alla violenza dei black block, ma mica è consigliabile usare le armi della violenza per proporre un superamento della violenza stessa, altrimenti il gioco dura all'infinito. Occorre trovare un'altra strada. Ma questo è un altro post.
Boabdil comunque non era un eroe, gli eroi si fabbricano in base alla fortuna e non al reale valore, vengono creati ad uso e consumo della cultura dominante.
E così Boabdil lasciò un paradiso che si chiama Alhambra, un luogo dove l'architettura araba celebrava la sensualità ed il piacere di vivere, la bellezza e l'intelligenza creativa.








Boabdil se ne andò nel 1492, vi dice niente questa data?
Nel 1526 ecco che quel cafone di CarloV si fece costruire un palazzo all'interno dell'Alhambra


 e che fa l'effetto di un gigantesco quanto insulso mattoncino di Lego dentro un tripudio d'intarsi e delicate armonie d'acqua e luce, il manierismo dell'architetto a cui CarloV s'affidò non potè far altro che appesantire un'idea già pesante e balorda di suo. Rispettare la cultura e l'arte altrui è un privilegio intellettuale di cui non hanno mai usufruito nè i cristiani nè gli integralisti in genere.
Ma l'arte vera, quando riesce a sopravvivere agli imbecilli, è imperitura testimonianza dell'intelligenza umana. E l'intelligenza umana non è mai violenta.

martedì 11 ottobre 2011

I sassolini dalle scarpe vanno tolti, si cammina meglio.



Cercano di infiltrarsi ovunque, di tenere un piede in ogni staffa politica. A loro poco importa delle idee altrui, gli importa di imporre le loro e per questo non guardano in faccia a nessuno, perchè sanno bene come si fa ad annacquare il pensiero altrui, a devitalizzarlo, ad imbrigliarlo, ad intrappolarlo. Questo loro particolare qualunquismo è frutto di un'esperienza di potere antichissima. Li paragonerei all'aids del pensiero, quello col quale infettano la sinistra. Con la destra non c'è bisogno di infezione, è già infetta di per sè.
Vedo nel nostro paesello, feudo del Vaticano, un proliferare di politici cattolici nelle file della sinistra. Parrebbe un loro fatto privato, ma solo un idiota lo può pensare. Come si può credere che le scelte di un cattolico non siano influenzate dalla sua fede religiosa? Come si pone un cattolico di fronte all'aborto o all'eutanasia? E come si pone di fronte alla possibilità dell'abolizione del concordato e dei privilegi fiscali di cui gode la chiesa?
Io lo chiamerei pensiero nascosto (neanche tanto e neanche bene) a monte. Quello che sta a valle è una pantomima, una farsa, un inganno, una maschera.
Pensare che possa esistere un cattolico di sinistra è il più assurdo degli ossimori, la più dissociata delle posizioni politiche. Questi signori, i cattolici della sinistra, sono i responsabili della sua debolezza, della sua confusione, del suo immobilismo, della sua incapacità a dare un nome alle cose, ma soprattutto della sua incapacità a trovare la propria identità. Nessuno può trovare un'identità nella dissociazione mentale.
Per questo i cattolici di sinistra sono utilissimi alla Chiesa, servono a devitalizzare le idee, servono a confonderle.
La Chiesa è ovunque in Italia. I luoghi in cui essa non riesce ad entrare sono pochissimi ed hanno pochissimo potere. Non importa che la maggioranza degli italiani se ne fottano della messa, importa che i cattolici siano ovunque c'è il potere, soprattutto dovunque e a chiunque esso vada.
Il nostro paese non cambierà mai fintanto la sinistra rimarrà un centro di potere privo di coerenza e di  identità. Perché mi pare ovvio che fintanto la sinistra permette che il pensiero cristiano  venga sovrapposto o equiparato al suo non ci sarà mai un pensiero di sinistra ma sempre e soltanto un pensiero cristiano.
E' per questo che dico che i politici cattolici devitalizzano la sinistra, le tolgono la linfa vitale necessaria ad ogni vera rivoluzione, quella del pensiero.
Un pensiero cristiano non può dirsi di sinistra, soprattutto se porta con sè l'idea del peccato originale. Un pensiero di sinistra non può essere cristiano, soprattutto se porta con sè il rifiuto della sofferenza umana.


E qui c'è un articolo molto importante, dal linguaggio diverso e non facile, ma di facile ci son solo le seghe.

sabato 8 ottobre 2011

Certe volte la speranza è la prima a morire.



Forse per seguirmi in certi ragionamenti e certe deduzioni occorre un po' di fantasia. Con questo non voglio intendere di aver ragione, il mio è solo un suggerimento, dato che mi rendo conto di usare una metodologia di pensiero un po' diversa da quella del razionalismo positivista.
Lo ripeto spesso: quando sento qualcuno giustificarsi con la legge di mercato lo guardo come potrei guardare un prete che farnetica di giudizio universale.
La cosiddetta legge di mercato altro non è che una banale osservazione, piatta e razionale, di un fenomeno dietro al quale si cela una visione dell'identità umana come "animale".
Volete che metta in ordine i miei pensieri?
In verità lo sono già, ma aggiungo un link interessante, che porta acqua al mio mulino.
La razionalità finalizza tutto all'utile e quindi fondare l'identità umana sulla ratio significa pensare gli esseri umani come animali, perchè non dovrebbe sfuggire all'intelligenza umana che gli animali non fanno mai niente che non sia finalizzato all'utile. Sono dunque razionalissimi.
Mai, dico mai, ho ascoltato un mottetto a quattro voci composto da un babbuino.
Se ci sono esseri umani che compongono mottetti allora vuol dire che non sono animali.
Un mottetto presuppone una fantasia e una capacità compositiva che esulano dalla razionalità per entrare nel mondo dell'arte.
L'arte è la capacità di immaginare e rappresentare non la realtà per come essa è ma per come la vediamo o per come potrebbe essere.
L'arte è una sorta di speranza (ma qui il discorso si fa complesso).
Gli economisti, purtroppo, non sono artisti e, quel che è peggio, sembrano accreditare la menzogna che mette sullo stesso piano l'uomo in rapporto alle cose con l'uomo in rapporto alle persone.
Il loro percorso mentale è piuttosto limitato perchè osservano (con l'illuminismo di Lavoisier) solo l'apparenza delle cose materiali e dicono che in natura nulla si genera, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
Prendiamo però l'ultima parola e rapportiamola non alla realtà fisica materiale ma alla realtà psichica umana, che è non materiale. Cosa significa in questo caso trasformazione?
Significa non pensare più con una metodologia di pensiero immobile e vecchia di migliaia di anni, poichè essa annulla implicitamente ogni trasformazione ed evoluzione del pensiero stesso. In altri termini il metodo razionale è nemico di ogni trasformazione perchè annulla tutto ciò che non corrisponde a se stesso, liquidandolo come ir-razionale (questo lo ripeto fino alla noia) ed inchiodando la ricerca della realtà umana sulla croce del positivismo.
Scoprire invece che è la capacità di immaginare a permetterci di pensare e che la ragione è solo una serva al servizio della fantasia significa finalmente attribuire valore al conducente dell'auto invece che alla sua auto.
Purtroppo ancora non è così e per questo l'economia mondiale passa sopra i cadaveri di milioni e milioni di persone pur di vendere auto, armi o qualsiasi altro oggetto, in un'ottica di crescita illimitata che, a ben guardare, è schizofrenica perchè contraddice il principio stesso di Lavoisier.
La legge di mercato è la cosa più stupida e violenta che si possa invocare, al pari del debito pubblico che è inestinguibile per sua stessa natura.
Riprendo quindi la domanda di Pessoa del precedente post:
Dove sono i vivi?

giovedì 6 ottobre 2011

Mi consola



Mi sconvolge, mi affascina, mi incanta, mi fa male, mi seduce, mi dilania. Tutto soltanto con delle parole scritte. Sto parlando de Il libro dell'inquietudine di Fernando Pessoa. Non ho mai trovato in tutta la mia vita di lettore nessuno che scrivesse come lui. Questo libro è da tempo accanto al mio letto, ne leggo poche pagine alla volta, perchè tanta è l'intensità delle sue parole, irripetibili se non alla lettera. Lo centellino come un liquore forte, ne faccio uso parsimonioso come fosse una droga pesante, mi rivolgo a lui quando lascio cadere un libro stupido o quando i "mi piace" di internet mi lasciano un'amara solitudine negli occhi, o ancora quando vedo che parlare di politica e di futuro nel mio paese è come parlare di sport.
Pessoa usò anche lo pseudonimo (sarebbe più corretto dire eteronimo) Alexandre Search, in quel cognome c'è il cardine di ogni movimento: la ricerca.  
Peccato non conoscere il portoghese. 

"Avanzo lentamente, defunto, e la mia visione non è più mia, non è niente: è quella dell'animale umano che ha ereditato senza volere la cultura greca, l'ordine romano, la morale cristiana e tutte le altre illusioni che formano la civiltà all'interno della quale io percepisco.
Dove saranno i vivi?" (F.Pessoa, il libro dell'inquietudine)

mercoledì 5 ottobre 2011

Giardino (riciclaggio)



Al mattino il giardino era una meraviglia, non c'era quasi nessuno in giro e la giovane luce, ancora obliqua, s'inseriva di taglio tra gli alberi creando giochi multicolori fra le foglie, mescolandosi alla nebbiolina carica di odori di terra umida. Con il fresco pungente nelle narici e le mani in tasca mi avviai per il maestoso viale, il crocchiare della ghiaia sotto le scarpe echeggiava breve nel silenzio, qualche merlo razzolava i prati circostanti. Profondità era la parola per quel quadro settecentesco. Alberi preziosi e carichi di storia, vialetti persi come pensieri, armonia di forme e di fontane, anfratti riparati sotto al bosso, intrecci di rampicanti sulle pietre, statue nude gorate di verde muschio, rare figure passeggianti sullo sfondo. M'immaginai già in quel tempo lontano. Un carretto spinto da un giardiniere comparve dietro al fusto di un grosso leccio, un cappellacio logoro e due stivali, pennato, vanga e uno zappetto, due sacchi di terriccio e una camelia. Buondì, gli faccio un cenno con la testa,  quello risponde schivo e guarda altrove, mi lascia ai miei pensieri senza fretta. Ritorno solo in mezzo a quel viale. Respiro l'aria buona e straripante d'ogni sfumatura di verde e di marrone, di grigio pietra e cielo azzurro e vado avanti, verso il gran palazzo. Che lusso inarrivabile e osannante, che sfarzo che rigoglio di volute, un muoversi continuo e statuario soggioga l'occhio villano e poco avvezzo al lusso ad una reverenziale sottomissione. Il cuore già commosso si restringe, la forza del potere lo sorprende, l'abilità nel saper fare, il numero di braccia che l'han fatto, quelle non si contano, hanno basso prezzo e poco desinare. Potenza a diluviare in quelle gronde, ciuffi di pietra sotto a sostenerle, riccioli scolpiti ad arte nel disegno, così come voleva l'architetto. E braccia e mani grosse su a portare e gambe e funi ed argani a tirare. Travi colossali e lastre immense, mi gira la testa, mi sento piccolo, sperduto in un secolo non mio, in un luogo non mio, frastornato da una ricchezza che non mi torna, che non m'inganna, e torno indietro, lo visiterò più tardi, quando ci sarà più gente a ripararmi. Ferito lievemente nel pensare a quante villanotte avran sognato di starsene sdraiate sopra un prato cullate dal signore del palazzo, Zerline furbe ed anche sciocche, quei sogni sono sempre i loro balocchi, puttane o ingenue tremanti, volevano portare tutte i guanti. Chissà quel giardiniere se li porta, le spine delle rose fanno male, ah già ma aveva una camelia, starà pensando a dove travasarla. Decisi di andarlo a ritrovare, magari in disparte per non disturbare, mi sembra ombroso come tipo, vedrò come lavora e come si muove.
Nel fresco di un pratino ben curato, fra un gelso ed un ontano, vedo una figura nella mezz'ombra che ha scavato già una bella buca. Mi fermo a una ventina di passi e sento fischiettare, e penso che l'umore non l'ha guasto, invidio il suo lavoro e la sua calma, deriva di sicuro dai lunghi tempi delle piante, ecco si volta e mi fa un cenno, mi viene incontro per parlare, guardo la figura avvicinarsi e il controluce inganna i miei occhi, o forse no, non capisco, non è lui, è una ragazza. Mi accorgo che intorno non c'è il carretto, e intanto lei già mi sta di fronte.
La prego, dice un po' affannata, mi potrebbe aiutare a spostare quella pianta? Mio padre è andato alla serra e da sola non ce la faccio, se non mi sbrigo il padrone mi da un sacco di legnate, vuole tutto a posto per la mezza.
Il padrone? Legnate? Tutto a posto per la mezza? Guardai frastornato quel volto sudato e magro, ciocche di capelli rossi uscivan da una cuffia, un grembiulone scuro di terra fino agli stivali. Mi sembrò di essere in un film comico di qualche anno prima. Mi guardo per me e son sempre io, vestiti compresi, niente di diverso. Alzo gli occhi e la vedo ridere come una matta. Uno scherzo? Chiedo senza sapere che faccia ho. Lei ancora non riprende fiato.
No, alterna a un altro attacco di risa, è che stiamo provando una scena ed io credevo che lei facesse la controparte.
Mi giro intorno e non vedo cineprese o altro materiale del genere e torno a guardarla più che mai stupito. Ora si è calmata e quasi seria mi fa: è teatro sperimentale, ha presente? Ci inventiamo le scene al volo ed io pensavo che l'avessero avvertita all'ingresso.
Avvertito di cosa?
Che nel giardino c'erano degli attori, che avrebbero coinvolto i visitatori in scene improvvisate, sulla vita qui nel settecento. Io ho scelto di fare la figlia del giardiniere, l'ha già incontrato prima e me l'ha detto lui di cominciare con lei per rompere il ghiaccio.
Il ghiaccio l'ha rotto di sicuro, dico cercando di riprendermi, ma io cosa dovrei fare? Chiedo impacciato e dispiaciuto per non esser stato subito al gioco, le ho rovinato la scena?
No, sorrise, io sono una pivella, mica una professionista, cerco di imparare e ho poca o nulla esperienza.
Sarà, dico, ma al di là del copione che aveva in testa, se qualcuno avesse ripreso quel che è successo due risate se le sarebbe fatte di sicuro.
Ma lei davvero non era al corrente? Non le hanno detto nulla all'ingresso?
Io non entro dall'ingresso principale, risposi.
Senta, mi chiese, le andrebbe di aiutarmi a sciogliermi un po'? A fare qualche prova, fra poco qui ci sarà gente e io devo capire se la mia scena può funzionare, non la disturba vero, non le faccio perdere tempo?
Il tempo? Domandai, che c'entra il perder tempo, qui di secoli ce ne son già tre distesi in terra, qualche minuto in più non si potrà notare.
Un partner filosofo mi son trovata, sorrise ironica, darà lustro alla mia parte, siamo nel secolo dei lumi, fece già accalorata. Allora, continuò, l'approccio l'ha già sperimentato, adesso bisogna andare avanti con le risposte, che so, mi dica quello che le viene in mente.
Bene, risposi, il padrone ha ospiti di riguardo se mette anche le fanciulle giù a zappare.
Non me ne parli, signor mio, è un despota divorato da un'ossessione, si picca di giustapporre le piante del giardino ad ogni suo nuovo umore, e noi poeracci e servi ad assecondarlo ogni mattina, sperando che la notte non abbia dormito male.
E questa notte com'è andata, chiesi di rimando.
Sembra bene, una nobildonna di vattelapesca è entrata nelle stanze del signore ieri sera e non ne è uscita che due ore fa.
Quindi cosa vi ha detto di fare, chiesi ancora.
Quello? Nulla, come sempre dorme, tocca a noi indovinare, interpretare, e guai a noi se sbagliamo il verso, son dolori. Io ho scelto questa camelia, è pronta per fiorire, ha i bocci a fior di pelle, promesse di bellezza.
Non son molto d'accordo sulla scelta, dissi, la cosa è bell'e andata, la promessa mantenuta e i bocci già gustati, ci vuole una pianta che abbia il sapor del dopo, velata di un languore lievemente triste ma consolato, che so, un'abelia, no, una bignonia, sì, un rampicante che scivoli piano in mezzo alle altre foglie, che lasci mescolare la sua linfa all'altre piante, però che non le soffochi d'amore egoista, che sappia liberarle esaltandone il contrasto.
La ragazza tacque un attimo e tolse la cuffia, mi guardò seria e disse, se trovo altri come lei mi cambio il ruolo, faccio la sua parte e lei la mia, dove la trovo codesta bign..che? Le ho chiesto una mano non un trattato di botanica.
Mi scusi, dissi, io parlo troppo, non volevo....
Ma no, non sia sciocco, le sto facendo un complimento. Vediamo, continuò pensosa, devo portare il pubblico sul mio personaggio, senza permettergli di distrarsi con le piante e il giardinaggio.
Sarà difficile con quella premessa sul padrone e i suoi ghiribizzi, le feci notare. Ignori il padrone, continuai, si goda la vita, lei è figlia di un giardiniere non "il giardiniere", se ne può fregare altamente e gettar scompiglio nell'ordine e nel mestiere.
Buona idea, sorrise, altrimenti ci si annoia, potrei aggiungere che del padrone me ne infischio, è della notte mia che voglio raccontare.
Deglutii geloso, cercando di distogliere il mio sguardo dai suoi occhi scintillanti, dal suo sorriso solare e dalla pelle di porcellana. Che notte vuole inventare, chiesi prudente.
Quella di sempre, quella ch'è nei sogni d'ogni ragazza, propose come naturale ovvietà. L'universale, risposi ridendo divertito, ma quella è arte con l'A maiuscola, mi ha appena detto d'esser pivella...
Via, fece infastidita, qui possiamo tentar quel che ci pare, a me non frega niente dell'universale, io so cos'ho sulla mia pelle, e se ce l'ho io ce l'hanno anche gli altri di sicuro.
La sua certezza mi confonde, mormorai, e la sua pelle è giovane, guardi la mia, solo la fortuna di un bel ricordo mi fa comprendere le sue parole.
E lei si lasci trasportare da quello, m'incalzò, lo tenga stretto, lo faccia rinnovare.
Ecco brava, dissi, la presbiopia è utile, nella vicinanza dei corpi anche uno un po' solcato appare liscio. Poi mi ripresi, scusi la battuta, ho capito, lei vuole regalare al mondo la sua felicità.
Si, disse girandosi intorno, senta che profumi, guardi che sfarzo, tutti dovremmo avere l'arte di godere della bellezza, io oggi son felice e vorrei che lo fossero tutti.
Anche chi non ha avuto una notte fortunata?, alzai leggermente le sopracciglia.
Non sia pesante, disse seria, non sotterri tutto con le sue parole, come diceva quello? Ricordati che devi morire... sì buonanotte, io me ne dimentico, non ci penso, anche se lo so non mi par vero, la morte è sempre altrove, magari accanto, ma non qui dentro, non nel mio cuore.
Per questo tutti ci vorrebbero venire, dissi ridendo di gusto, fortunato il suo ragazzo, quella è la pianta da trovare e coltivare, dubito che me ne venga in mente una adatta, comunque ci penserò e l'andrò a cercare e domattina la troverà lì in quello scavo che ha fatto di buon'ora nel giardino.
Ma lei chi è per poterlo fare, chiese.
Il suo umile giardiniere, risposi.
Il mattino seguente uno splendido ceanoto preparava i suoi fiori azzurri, ma la ragazza non tornò a vederlo, dormiva già in un altro giardino.

martedì 4 ottobre 2011

Clop, clot, clap, tac



Introduzione al riciclaggio

Una volta scrivevo piccoli raccontini, fu solo un breve e particolare periodo. Non avevo pretese di originalità nè di maestria nello scrivere, scrivevo solo perchè mi piaceva inventarmi storielle, bislacche o legate ad una cronaca invisibile. Le ho rilette di recente e qualcuna vorrei "salvarla" mettendola in questo blog, perchè quello in cui erano pubblicate è chiuso. Forse è un po' come portarmi dietro alcuni mobili per un trasloco, quelli a cui tengo di più. Forse a qualcuno piaceranno forse a qualcuno no. Chissà se ciò che scriviamo somiglia al nostro volto, per cui ci sono volti che ci piacciono ed altri no.
Ma non è il principio del piacere che mi interessa, altrimenti sarei grasso e gravido di colesterolo.


Clop, clot, clap, tac

La luce grigia di gennaio si era messa d'accordo col freddo umido ed insieme al suono di un'antifurto in lontananza addobbavano la rotonda spartitraffico. Le auto frusciavano sotto la pioggerellina, polverizzandola in scie d'argento e piombo. Il traffico intorno alla rotonda sembrava una giostra metallica dal suono nauseante. Ma io feci sparire tutto in un sol colpo.
Mi concentrai a tal punto da udire lo scalpiccio degli zoccoli di un cavallino che tirava un calesse lungo la strada fangosa. Clop clop, clop clop. Una figura gentile teneva le redini con lo sguardo perso sulla strada, occhi di un giallo verde illuminavano coi propri pensieri il crepuscolo piovigginoso. Da una mantella viola con cappuccio bordato di oro rosso comparve una mano affusolata che lanciò una moneta quando mi passò davanti. Io la presi al volo, seguendo l'arco delle sue giravolte che venivano a chiudersi fra le mie dita, come un arcobaleno. L'ho presa, dissi a me soddisfatto, è d'oro. Poi rimisi il ferro perduto dal cavallino. La donna sorrise grata sotto al cappuccio e svanì oltre, nel ritmo degli zoccoli, clop clop, clop clop. Clop clop, clop clop, lentamente il suono sordo di uno pneumatico afflosciato si affiancò al marciapiede. Un'auto rimase immobile mentre le altre infastidite la scansavano maledicendola. Che classe, che stile in quella giostra che ora aveva un cavallino sganciato. Ne scese una donna dal volto affranto e stanco, aprì un ombrellino viola bordato d'oro rosso e mi guardò silenziosa, poi guardò la ruota afflosciata, poi il cielo ormai scuro, poi di nuovo me e di nuovo la ruota. Alla fine guardò solo me. Non avevo ombrello ed ero completamente bagnato, lei mi offrì riparo sotto quella cupola in miniatura, giusto lo spazio per due teste molto vicine. Mi decisi a cambiarle la ruota e alla fine ero ancora più bagnato e pure sporco. Tornai sotto la piccola cupola che non aveva smesso di tentare inutilmente di proteggermi ed incontrai due occhi giallo verde, dolci e amorosamente stanchi. La donna mise fra le mie dita una banconota da cinquanta euro e mi ringraziò. Io la guardai rientrare dentro la giostra e scomparire col fruscio delle ruote bagnate. L'ho presa, dissi a me soddisfatto, e seguii la banconota che volò verso il bar più vicino. Entrò svolazzando a mo' di farfalla, ma la pioggia aveva appesantito le sue ali e si posò sul bancone guardando il barista, che svogliato versò un bicchiere di vino. Poi lui la rigirò tra le dita osservandola in controluce e disse: è falsa. Mi tolse il bicchiere dalla mano e mi cacciò dal locale.
Chissà se era falsa per davvero.
Clot clot, clot clot, il suono buffo degli zoccoli calzati da una ragazzina mi rimise il buon umore. Zoccoli d'inverno! Era evidente la felicità nella sua andatura inconsapevole, nei suoi occhietti sorridenti, nei piccoli passi dalla cadenza ritmica. Quel suono fece tacere tutto il resto: attenti signore e signori, passa la gioia di vivere. La giostra metallica perse la sua anaffettiva ripetitività, frantumandosi in uno sfondo grigio su cui si stagliavano i colori della ragazza. Il cielo si aprì donando le sue prime stelle, insieme ad una luna sorridente. Non potei resistere dal battere le mani per la felicità che quella ragazza mi regalava, col suo semplice gioco di passaggio, clap clap, clap clap....e lei clot clot, clot clot, ed io clap clap, e lei clot clot. Ci divertimmo un sacco in quel concertino improvvisato, poi lei sparì dietro la curva ed io continuai a battere le mani seguendola nella mia immaginazione, clap clap, clap clap e la notte si fece brillante di fari nella giostra metallica. Tac tac, tac tac ed una donna molto truccata, scesa da un macchinone nero, si avvicinò ai margini della giostra. Alcuni cavallini impazzirono nel vederla e le andarono incontro, finchè uno non la fece montare su, e via nella giostra luminosa. Dopo un po' rieccola, tac tac, tac tac, la vedo che si dà un po' di rossetto e si aggiusta i capelli guardandosi nel piccolo specchio rotondo. Mi viene incontro, mi guarda, sorride e mi regala cinquanta euro. Allargo le braccia come a dirle che non so cosa fare per meritarli, lei mi carezza la testa e dice: oggi sono fortunata, perchè almeno troverò te ad aspettarmi. E montò su un altro cavallino, e via un altro giro di giostra, molte volte. Io attendevo il suo ritorno, ligio al mio impegno di farmi ritrovare lì. Poi anche lei se ne andò, era quasi l'alba, e la giostra non aveva più cavallini. Mi addormentai in mezzo alla rotonda, in attesa del nuovo giorno, chè i primi cavallini arrivano presto, alla spicciolata e sono assonnati, sbuffano. Ma non mi svegliai in tempo per vedere un grosso cavallone che montava sulla rotonda, il cavaliere era un po' ubriaco e mi schiacciò, poraccio, mica poteva vedere che dormivo nell'erba. Otto coppie di ruote, che peccato, non posso più scrivere che suono avevano, doveva essere interessante.