Ricordo che quando ero piccolo mio
padre ogni tanto cambiava auto, perché faceva molti chilometri, ma
su ogni auto c'era sempre la stessa piccola campanella (in realtà si
chiamava bubbolo), attaccata sotto lo specchietto retrovisore. Una
volta ero seduto dietro, mentre mio padre guidava e un suo amico
accanto a lui fumava. A un certo punto il suo amico, che a me stava
molto antipatico, chiese con aria di scherno a mio padre cosa
significasse quel bubbolo. Mio padre lo fece suonare gentilmente con
le dita e rispose: serve a ricordarmi che vengo dalla campagna.
Una battuta che, se ancora me la
ricordo, evidentemente mi colpì.
Quella campanella la conservo nella
memoria, non so più dove sia, ma l'altra sera l'ho udita fuori della
porta. Sono andato a vedere ed ho trovato un cane. Ci siamo guardati,
lui un po' mi ha annusato, io no, non ne avevo bisogno. Nessuno dei
due, almeno apparentemente, aveva altri impegni e quindi l'ho
invitato a entrare. Più o meno è andata così:
Ruhe: Un cane un po' timido ma anche
molto curioso, vedo che con fare guardingo ispezioni la mia casa
minimalista, anche se sarebbe più corretto dire minima.
Cane: Il minimalismo nella musica è
forte, è ipnotico. Secondo me quei compositori si facevano delle
canne da qui a Semprognano, hai presente dov'è? Ecco, prova ad
andarci.
R: Allora ci parli del minimalismo o ci
parli di lei?
C: Lei chi?
R: No scusa, che cavolo c'entra
altrimenti Semprognano col minimalismo? Chi c'è a Semprognano?
C: Una segugia irraggiungibile.
R. Allora ripeto la domanda, ci parli
del minimalismo o ci parli di lei?
C: Francamente preferirei di lei , ma
non riguarderebbe nessun altro.
R: Chi te lo dice? Sai quanta gente
cerca di scoprire come funzionano gli altri o se gli altri funzionano
come loro stessi?
C: Eccoci all'acqua, poi quando
scoprono che non è così son cazzi. A me non importa di trovare me
stesso negli altri, io sono io, mi basto e avanzo, m'importa di
andarci d'accordo con gli altri, anche se sono diversissimi da me,
questo è il bello. Nessuna discriminazione, salvo per gli imbecilli.
R: Sì, buonanotte, allora questo
minimalismo?
C: Non lo conosco molto, non mi
appassiona veramente, forse è invidia ma quel che ho ascoltato è
assai ripetitivo, gioca su piccole variazioni, suggerendoti di
ascoltarle meglio, di fissarti su piccoli frammenti, mentre intanto,
a seconda dei casi, si creano intorno delle scene che amplificano
ancora di più i particolari, ripetendoli come un mantra. E'
l'opposto della melodia, mi verrebbe da dire, la scarnificazione
della linea melodica, che viene ridotta quasi all'inesistenza. Ecco vedi,
accompagnare una melodia è come tesserle un tappeto sotto i piedi
man mano che avanza, è sostenerla nel suo ideale, nel suo sogno.
Oppure è costruirle intorno un
recinto... dentro al quale possa muoversi liberamente. Più il
recinto sarà ampio e più sarà libera. Fino ad abolire il
recinto... col rischio di vederla dissolvere nel nulla se il recinto
era il suo unico volto.
R: Le melodie sono pericolose, direbbe
qualcuno.
C: No, lo sono i recinti. A me sembra che i minimalisti
costruiscano splendidi recinti, senza niente dentro, o tappeti
ricamati senza nessuno che ci balli sopra, e questo può essere
divertente, hai visto mai. Chi lo desidera, se ne è capace, potrà
mettere nel recinto quello che vuole, o far danzare lungo il tappeto
la ballerina che desidera.
R: Ci vive una ballerina a Semprognano?
C: I cani sono più bravi di te a farsi
i cazzi suoi. Stavo dicendo, ah sì, i recinti.
I tappeti invece sono diversi, possono
essere lunghissimi e stretti come delle guide, possono curvare o
possono interrompersi, nel qual caso chi ci cammina sopra dovrà
bloccarsi all'istante. Sono tappeti volanti, sotto non c'è un
pavimento, stiamo parlando di musica.
R: Scusa, pensavo ad altro. Ah, sì,
quelli che chiamavo tappeti d'archi, Mahler era a mio avviso il
miglior tessitore.
C: Mahler non era un minimalista!
R: E chi ha detto questo? Che fai
ringhi? Oh bellino, hai le paturnie? Con chi mi stai scambiando? E
poi oh, si potrà pure pensarla diversamente da te no?
C: Diversamente è un conto, dire
cazzate un altro!
R: Ma infatti, la mia era solo una
memoria sulla parola tappeti, non volevo dire altro. Ecco, vedo che
un pochino hai scodinzolato, forse il tono della mia voce ti ha
calmato.
C: Io sono spesso spaventato o
spaventabile, è un grave difetto, ho poche certezze.
R: Allora ascolta queste note.
Mi sono alzato dal divano e ho messo un
cd con musiche di Leo Brouwer, Toru Takemitsu, Flores Chaviano,
Joaquin Clerch e altri. Conoscevo pochissimo questi autori e non
conoscevo il chitarrista, una carenza imperdonabile, per me
ovviamente. Ho guardato il cane con aria di provocazione, sperando
facesse qualche apprezzamento o che raccontasse un aneddoto.
Invece...
C: Tu vorresti che io parlassi di
musica, ma questo post è iniziato con la storia di una campanella,
un bubbolo, come questo che ho legato al collo e che solo tu hai
sentito, perché io non esisto.
R: E io con chi ho parlato? Se aspetti
che ti dica che parlo con me stesso aspetti parecchio.
C: Parli con la ballerina di
Semprognano.
R: Ma è nei miei sogni, non esiste, è
la musica che non riesco a scrivere, è quello che non riesco a
essere, è quello che non riesco a dire.
C: Bene, allora sei stato onesto, hai
scelto il cd adatto, attraversa mondi musicalmente e temporalmente
diversi. Quando si incidono cd come questo la scelta dei brani è
come una sceneggiatura, il filo, o meglio, il senso sono
fondamentali. Ricardo Gallén inizia col più classico degli
spagnoli, Joaquin Rodrigo, per chi non lo conoscesse è l'autore
dello strafamosissimo Concerto di Aranjuez, vada altrove chi non
conosce nemmeno quello! Poi Ricardo vola a Cuba (Gallén è cubano) e
ci propone un virtuosissimo Joaquin Clerch con “Guitarresca”.
R: Mai sentito nominare prima d'ora,
accidenti alla pigrizia!
C: Non sei a un esame, e non puoi
ascoltare tutta la musica del mondo.
R: No, ma dovrei ascoltarne molta di
più.
C: E diversa, anche la più lontana
geograficamente.
R: Che te ne pare delle sonate di Leo
Brouwer?
C: Stupende, sognanti, irriverenti,
sincere. Le avvicineri idealmente alle Children's Songs di Chic
Corea.
R: Non fare il mentecatto, sono due
cose completamente diverse, io le avvicinerei a tutto ciò che non
riesco a fare e che lui invece fa.
C: Oh, non preoccuparti di questo,
riconoscere ciò che si ama anche se non lo si può avere è una
prerogativa umana.
R: Per te funziona così?
C: Io amo ciò che ho, ma questo l'ha
già detto Tolstoj.
R: Ecco, ascolta, questo è Takemitsu,
ricordi? Kubrik scelse un suo brano per 2001 Odiseea nello spazio.
C: E' diversissimo, è tutt'altro da
allora, non ha fatto il furbo, si è messo in discussione, ha
camminato, ha cercato e non ha smesso di essere un musicista.
R: Ami la storia? Voglio dire i
percorsi, le trasformazioni.
C: Sono un cane, ho poca memoria,
tranne quella ripetitiva se mi insegni ad abbaiare a un tuo segnale.
La mia memoria vera è per risonanza, somiglia quasi a un istinto.
R: Grazie al cavolo, sei un cane, avrai
l'istinto no?
C: Dimentichi che non esisto.
R: Già.
C: Ecco, sta finendo il cd e cosa ha
scelto Gallén come ultimo brano? Il meraviglioso preludio n°5 di
Tarrega, una chitarra che intona con semplicità tutto il suo
luminoso ed erotico languore, tutta la sua dolcezza, tutta la sua
intimità.
Il cane se n'è andato, ho sentito per un po' il bubbolo tinnire nella notte, sempre più in lontananza.
6 commenti:
Ma che cani conosci, tu? Quelli che su affacciano da me si limitano ad abbaiare. Comunque la musica di cui avete parlato me la cerco subito. Non sia mai che il cane passi anche da me. Tanto lo riconoscerò dal bubbolo!
certo che da quelle parti pure i cani crescono dotti ora mi ascolto Tarrega anche senza bubbolo
Certo che il tuo cane ne dà di dritte! Una guida all'ascolto simpaticissima.:))
p.s.
non dire al cane che ascolto i minimalisti di tanto in tanto!
Io mica lo so che bestie strane mi capitano alla porta, ma se sono gentili le faccio sempre entrare.
:)
"Serve a ricordarmi che vengo dalla campagna". Be', sarà che io sono un lettore e uno scrittore, ma devo dire che per tutto il tempo dedicato al tuo post, pur appassionandomi al dialogo e al minimalismo e ai musicisti ecc., quella che continuava a risuonare in me era la meravigliosa frase di tuo padre. Degna del miglior romanzo.
@Zio, non sarei in grado di costruirci sopra un romanzo, ma di sicuro è una frase illuminante, direi compositiva. Perché compone quello a cui vuoi arrivare con quello da cui provieni, dandoti una misura della relatività delle distanze pur nella loro enormità.
Erano gli anni del boom economico (a sentirle oggi queste due parole sembrano uscite da un romanzo fantasy o dal delirio di un politico imbonitore) e molte persone si trovarono delle possibilità economiche prima irrealizzabili. Quella frase forse serviva a esprimere una certa cautela nel non confondere il progresso economico con quello umano. E la storia recente sembra dargli ragione.
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