sabato 26 novembre 2011

classe senza feticismi


Ci sono delle cose che si indossano fino alla consunzione e quando diventano lacere o scolorite sono ancora più belle. Non è una stupida questione di moda, è un modo di essere e di vivere, ostinatamente, esclusivamente nostro.

venerdì 25 novembre 2011

ricorrenze

Ruhevoll: Auguri blogghino mio, in un anno hai sparato tante di quelle cazzate che un po' di silenzio ti farebbe bene. Dimmi, quale immagine vorresti scegliere per un po' di autentico e sano ruhevoll?
Blogghino: Questa!


Ruhevoll: Oh sì, perché ci ricorda la giornata più bella dell'anno, perchè ci sono i monti e c'è l'acqua, con la canoa pronta per risalire verso le sorgenti o per scendere verso il mare, a seconda dell'umore e dei sogni. Un giorno siamo Marco Polo ed un giorno Cristoforo Colombo, una volta siamo palombari ed un'altra alpinisti. Un giorno di qua e un giorno di là. A volte partiamo all'alba, a volte al tramonto, e non ci curiamo se sia notte o giorno, purchè ci siano storie e fantasie da inseguire.
Blogghino: Ma un giorno da fancazzisti no?
Ruhevoll: Oh certo, quello sempre, ma tu, blogghino mio, che sei fatto di niente, che sei l'ombra di un pensiero che non giunse alle mie labbra, che sei il non detto di ciò che ho scritto, cosa vuoi per il tuo compleanno?
Blogghino: Ruhevoll, che palle che sei!!!
Ruhevoll: lo so, lo so, ma non mi prenderai mica sul serio vero? Io non lo faccio quasi mai.
Blogghino: Ma cazzo, se è il mio compleanno, lasciami dire qualcosa che non esca dalla tua penna.
Ruhevoll: Giusto, va bene, sentiamo.
Blogghino:
Notte e giorno faticar
per chi nulla sa gradir
piova e vento sopportar
mangiar male e mal dormir...


Voglio fare il gentiluomo
e non voglio più servir
e non voglio più servir
no no no no no no non voglio più servir.

Ruhevoll: No, scusa, ma se prendi le parole di Leporello sembra tu voglia mettermi nei panni di Don Giovanni, e sai bene cosa  penso di quel borioso sciupafemmine. E poi via, condividi piuttosto questo anniversario coi tuoi amici blogger, offri loro qualcosa, se non altro per l'enorme pazienza che hanno dimostrato nel venirti a leggere!
Blogghino: Cretino, leggono te, non me, io sono solo una bacheca, un servo muto!
Ruhevoll: Vedo che ogni mio tentativo di animarti è fiato sprecato. Possibile che tu non veda che ogni blog assume un'identità sua, indipendentemente dalla volontà cosciente di chi lo ha inventato? Non vedi come gli altri blog tuoi amici siano sì la rappresentazione di un aspetto dei loro autori, ma anche una realtà che sfugge ai loro intenti rappresentativi?
Blogghino: Sei sempre il solito elucubratore dei miei coglioni!
Ruhevoll: Dai, cerca di essere riconoscente, dillo che sono belli proprio per tutto ciò che elude le loro intenzioni. E sai perchè?
Blogghino: No, io sono solo un blog.
Ruhevoll: Perchè ai tuoi amici sfugge di penna la loro bellezza, il loro modo di stare insieme anche nell'assurdo silenzio del virtuale. Ci sono scrittori di indiscutibile talento ed inventiva, ci sono storici dell'arte che trasformano i quadri in meravigliosi racconti, o persone che sanno cogliere qua e là  musiche, film, poesie e li distendono sotto i tuoi occhi in una composizione insolita e stimolante, poi c'è chi ti racconta delle piante e dei fiori con lo stupore di una bambina, chi parla sempre e solo di sè ma con una tale profondità da glissare il mero narcisismo, c'è chi sfarfalla e mescola di tutto in stupendi pastiche degni di un Pollock, o chi semina perle nel vento donandoti collane e fili di pensieri lontani dalla mediocrità.
Blogghino: Mi fai diventare portavoce di un leccaculo.
Ruhevoll: La tua è banale invidia mio caro, e sei anche tirchio, metterò io per te una foto che renda loro merito e rappresentazione!


Blogghino: Non sono invidioso, sono geloso cazzo, è il mio compleanno e nemmeno una parola sulla mia nascita.
Ruhevoll: Dietro ogni nascita c'è una storia d'amore, contento?
Blogghino: Mavaffanculo va'!
Ruhevoll: Sei proprio il mio blogghino!

sabato 19 novembre 2011

'no due, 'no due...



Era la fine degli anni cinquanta, mi misero un grembiulino nero, un colletto bianco, un fiocco azzurro e mi lasciarono sulla porta della scuola elementare Giotto.
Che cazzo di scuola!
Non feci in tempo a capire cosa ci facevo che già mi avevano messo in riga insieme ad altri bambini (tutti maschi). Silenzio! In fila per due! Avanti marc  'no due, 'no due, passooo, pum, passooo, pum, 'no due, 'no due...
Lo giuro, avvenne proprio così.
La maestra era una rospa nevrastenica che portava in classe una canna di bambù per tirarcela sulle mani ad ogni nostra minima disattenzione.
Lo giuro, è vero anche questo.
Durante la ricreazione dovevamo rimanere fermi nei nostri banchi senza fare un cazzo tranne che mangiarci la colazione portata da casa, mentre durante l'ora di ginnastica, sempre stando fermi nei banchi, dovevamo passarci di mano in mano una palla, senza lanciarla sennò la maestra s'innervosiva.
Continuo a giurare che è vero.
Come se non bastasse, una volta il preside pensò bene di riunirci nel corridoio per farci un discorso di fronte al busto del "Milite ignoto" (orrenda quanto lugubre figura marmorea inserita in una nicchia laterale) tenendoci lì impalati sull'attenti per un'ora. Non capivo nemmeno il significato della parola ignoto.
Per quanto mediocri i miei genitori pensarono bene di togliermi da quella caserma. Gloria eterna a loro!!!
L'anno successivo scoprii che il mondo era meraviglioso. Nessun grembiulino, nessun colletto e men che meno fiocchi. Classe mista, con abbondanza di ragazzine che mi riempivano gli occhi ed il cuore. Dopo un mese avevo già due fidanzate, Elisa e Rossella, la monogamia poteva attendere. Quella scuola era una mosca bianca! Aveva un teatro, che mi vide nei panni di un sindaco e in quelli di un folletto uscito dalle storie dei fratelli Grimm. Ci davano ogni tipo di materiale per dipingere e scolpire, la palestra era piena di tutti gli attrezzi immaginabili e l'ora di ricreazione era un momento di baldoria libera e pazzesca nell'ampio giardino.
Ora, mi domando, per quale cazzo di motivo esistono delle differenze così abissali da farti credere nei mondi paralleli? In questo caso il problema non si pone, la differenza era data dalla violenza e dalla stupidità italiche ed alla trasmissione del pensiero (pensiero???) gentiliano, la cui riforma andò in soffitta solo nel 1962!!!
Sliding doors era il titolo di un filmetto con quella bonastra di Gwyneth Paltrow. Chissà come sarebbe andata la mia vita se mi avessero lasciato a marcire in quella caserma gentiliana.
Ovviamente scrivo queste piccole memorie non solo per vergognoso narcisismo, ma anche perchè la Gelmini è finalmente fuori dai coglioni, ma la sua riforma resta. Se ne occuperà il nuovo ministro o ci terremo questo schifo di riforma per i prossimi quarant'anni? 

mercoledì 16 novembre 2011

Ruhevoll da' retta, sta' attento a' tombini!!!!



Non certo in un'aria di vetro, ché oltretutto era sera e stavo anche fermo. Ho guardato un cielo che sembrava dipinto da Folon, immaginandomi improbabili sussurri fra gli alberi. Ad alcuni di essi frusciavano timidamente le foglie, ma l'aria era oltremodo silente. Sembrava che salutassero il sole, guardando ad ovest come frondose statue dell'isola di Pasqua.
Mi sono avvicinato alle piante per guardare insieme a loro la linea dell'orizzonte.
La luce era delicata, veniva voglia di carezzarla.
Ma si può carezzare la luce?
Forse sì, quando attraverso gli occhi lei s'irradia nei pensieri, sciogliendoli.
E tante cose appaiono molto, molto relative.
Te ne stai lì, sapendo che tra poco brilleranno le stelle nel cielo. Inizieranno a salutarti man mano che la loro luce si poserà su di te. T'inventerai un gioco e darai loro i nomi delle persone che ami, ed il cielo si popolerà di ricordi, diventando più umano.
Poi ripiegherai tutto come fosse un disegno, riponendolo nella tasca delle immagini, perchè lo sguardo non può sempre dipingere e sognare.
Ma ti resterà un po' di quel riflesso negli occhi.
E sorriderai alla notte che hai davanti.

domenica 13 novembre 2011

Goldman Sachs e gli amici odontotecnici

Una volta c'erano re, principi, nobili di vario rango, che vessavano e angustiavano la plebe con tasse, soprusi e decime.
Poi venne la rivoluzione francese ed il popolo pensò di essere finalmente diventato sovrano. Invece iniziò la sovranità della borghesia, quella coi soldi, perché coi soldi comperava sempre più potere.
Poi venne Napoleone e poi la restaurazione e poi altre lotte e rivoluzioni e guerre ecc. ecc.
Il popolo continuava ad attendere il riconoscimento della sua sovranità, ma gli fu fatto notare che, a causa dell'emergenza economica, doveva aspettare qualche altro secolo.
Nel frattempo lo si consolava costringendo alle dimissioni un odiato presidente del consiglio e sostituendolo con una sorta di odontotecnico che avrebbe strappato la maggior parte dei pochi denti rimasti in bocca al popolo.
Io penso a vanvera e mi affiorano immagini ricordo di piccoli libri letti da ragazzino. In uno di essi veniva descritto un incredibile movimento di migliaia di pesciolini verso la riva, in cerca di salvezza, dietro di loro altri pesci più grossi guizzavano apparentemente contenti di poter cacciare i più piccoli e dietro a questi c'erano pesci ancora più grossi che sospingevano i precedenti. Ma se un osservatore fosse salito in cima alla collina a guardare l'ampio golfo avrebbe notato che al largo nuotava una gigantesca orca.
Le due foglioline che mi hanno raccontato questi loro dubbi e pensieri hanno deciso di stare insieme per potersi scaldare durante quello che si prefigura come un rigidissimo inverno. I loro occhi e le loro boccucce sono stati disegnati da un piccolo insetto. Appaiono vuoti, come le nostre tasche ed i nostri diritti dopo che l'acclamato odontotecnico avrà compiuto il proprio mandato.
In quel vuoto ci leggo tutta la disillusione umana di fronte a questi inganni economici.
Ma una è rossa come la vitalità e l'altra è gialla come il desiderio, dobbiamo sbrigarci a realizzare quella linea blu scuro-quasi nero d'intelligenza e fare qualcosa per rivendicare la nostra nascita (libera da qualsiasi debito pubblico) prima che secchino del tutto.

venerdì 4 novembre 2011

e vabbè



Era il millenovecentoci'mportaunasega, quando all'ultimo piano di un vecchio e popolare edificio di via Ghibellina nasceva anzitempo il sottoscritto. Stare in quella pancia senza fare un cazzo era sicuramente piacevole, lo era soprattutto perchè non sentivo i rimbrotti di quella tipa che mi ospitava e che già faceva progetti su di me prima ancora che fossi nato, che tonta! Che ne sapeva lei di come sarei stato io? Le mamme andrebbero fatte fuori subito, la vita scorrerebbe come un fiume tranquillo. Ho il sospetto che quel primo urlo che lanciamo pochi secondi dopo la nascita sia un preventivo vaffanculo. Non che voglia parlar male delle mamme, poracce, ce ne sono anche di buone e intelligenti, ma è raro incontrarne una che non si sia "immaginato" il proprio figlio prima ancora di averlo partorito. Ed il guaio è proprio quella dicrepanza fra l'immaginazione e la realtà, una fantasticheria che dura nove mesi, più o meno. Togliergliela dalla testa è un duro lavoro di strilli e bizze.
Ad ogni modo io ero l'ospite e non ero altro che un organismo (non un bambino) sospeso in un liquido caldo ed avvolgente, attaccato col cordone ombelicale ad una tipa che pensò bene di buttarmi fuori. Sì, perchè pochi sanno che l'organismo femminile produce un non so cosa per impedire al corpo di rigettare il feto come fosse un elemento estraneo (amore materno una sega). Quando l'effetto finisce l'incompatibilità diventa chiara e via, ci si separa, ognuno per i cazzi suoi. Tu dammi poppe, latte e tanto amore, io ti do la soddisfazione o l'illusione di essere opera tua. Perchè non è carino far notare alla mamma che per la gestazione sarebbe andato benissimo anche l'utero di una scimmia, l'importante è non trovarsi una scimmia davanti quando siamo nati (cosa non sempre facile). Insomma la maternità non è creatività nel vero senso della parola, la creatività è ben altro e non l'hanno certo nè le scimmie nè l'organismo umano in sè.
In via Ghibellina mancava il riscaldamento, ed essendo io prematuro (immaturo lo sono diventato poi con grandi sacrifici) provvidero a scaldarmi fra due bombole di metallo, quelle da seltz, riempite d'acqua calda,  le borse di gomma ancora non c'erano, e mia nonna le aveva rivestite di lana all'uncinetto. Quante attenzioni, eppure patisco il freddo tutt'oggi.
La figura del babbo venne dopo, prima avevo da fare con le poppe e le crisi isteriche di quella là. Il babbo però ce lo possiamo scegliere, anche inventare, nel senso che se quello naturale (diciamo così) è scarso, possiamo andarcelo a cercare da qualche altra parte, persino in un libro (ma a quei tempi non sapevo leggere, sennò sarebbe stato Saramago). Lo trovai invece attraverso un vecchio grammofono, abitava nascosto in quei microsolchi ruvidi dei vecchi LP, si chiamava Borodin, ma non sapevo leggere il suo nome, lo seppi in seguito. Ricordo anche i nomi di alcuni zii, si chiamavano Mozart, Brahms, Mussorgskij, Bach, e poi alcuni strani e meno affascinanti cugini che si chiamavano Platters o Eddy Calvert. Mussorgskij lo amavo, ma sentii che il mio babbo era Borodin, a causa di una melodia che mi sono portato dentro per tutta la vita. Niente di eccezionale, ma è andata così.
Crebbi, lo sapete anche voi che questo accade inevitabilmente, e dimenticai tante cose, fra le quali anche il babbo. Un giorno, dopo tanti tanti anni, ero dal mio verduraio di fiducia, un ometto simpatico e molto esperto del suo lavoro. Questo signore teneva sempre una piccola radiolina accesa per farsi compagnia. Quella sera stavano trasmettendo la musica del mio babbo. Rimasi incantato, la sentii risuonare in tutte le mie viscere. Non ricordavo il titolo nè l'autore ma sapevo che l'avevo sentita, la conoscevo da sempre, era lei! Non avendo il tempo per aspettare la fine del brano e sentire il titolo, chiesi all'amico verduraio di segnarselo se l'avessero detto.
Il titolo è: nelle steppe dell'asia centrale, di Alexander Borodin. E' l'intreccio di due melodie, una meravigliosa e semplice rappresentazione musicale della dialettica fra i popoli, dell'incontro fra diversi, alla faccia di tutte le etnie e di tutte le guerre.
Il resto è vita. 

giovedì 3 novembre 2011

una questione di luce



La felce mi arrapa anche solo col suo nome, sa di boschi antichi, è elegante, raffinata. Le sue costole mi ricordano altre forme, ma non saprei  dire per quali misteriosi percorsi la sua immagine evoca in me una dolce e flessuosa schiena di donna.
Amo il suo frusciare delicato, il suo giocar con la luce, le sue promesse di funghi nascosti. Non sempre mantenute, è vero, ma non per colpa della felce. Semmai per imperizia del cercatore.
Se fosse uno strumento musicale produrrebbe il suono di un'arpa eolica, ne sono sicuro. Non se ne costruiscono più, ahimè.
Forse ci hanno rubato i suoni, li hanno sostituiti con rumori insulsi. O forse molti hanno perduto le orecchie.
Osservare un sottobosco pieno di felci è quasi come immergersi dentro il mare a guardare le posidonie.
Io trattengo il fiato ma nei sogni, talvolta, si respira anche sott'acqua.
Poi, a volte, si nasce.
Quante volte siamo nati, quante nascite abbiamo perduto, quante ne abbiamo ritrovate?
Ingialliscono le felci, poi seccano e spariscono.
Tutti giochi di luce.
Devo continuamente imparare ad usare la luce giusta.
Per saper trovare.
Per saper vedere.
Per saper amare.